La trappola innescata la settimana scorsa dall'ex ministro Lieberman contro il premier Netanyahu aveva quasi raggiunto l'effetto sperato.
Prima la provocazione del blitz a Gaza, mentre il primo ministro era a Parigi;
poi, dopo i 400 missili palestinesi di risposta, le dimissioni di Lieberman dal dicastero della Difesa perché Netanyahu, all'invasione della Striscia, aveva preferito una tregua.
Ne avevano approfittato anche i ministri Bennett e Kahlon, minacciando di abbandonare con i loro partiti la coalizione e chiedere elezioni anticipate per trarre vantaggio dalla presunta debolezza di Netanyahu.
Ma fino all'ultimo il premier ha voluto convincere i partiti della coalizione a tenere in vita il governo in questo delicato momento.
Nel discorso di ieri, in cui annunciava di assumere il dicastero della Difesa, Netanyahu ha parlato di scelte difficili per la sicurezza dello Stato.
Criticando Lieberman, ha detto che "non si gioca a far politica, né si abbandona il proprio posto, nel mezzo della battaglia, perché la sicurezza nazionale va oltre gli interessi personali".
Ha poi sostenuto che gli altri hanno solo una visione parziale delle operazioni in corso, mentre lui ha un programma chiaro di cosa occorra fare e quando.
"Il problema più grave è il programma nucleare iraniano" - ha ribadito il premier - "e sarebbe imprudente indire elezioni anticipate indebolendo il paese".
Si è infine augurato che i partiti di governo mostrino responsabilità per il bene dello Stato, e il suo discorso è stato a sorpresa accolto dal ministro Bennett, che ha deciso di non dimettersi e dare fiducia a Netanyahu.
Così il governo ha ancora una maggioranza parlamentare e un altro anno davanti fino alle prossime elezioni, forse anche grazie ai sondaggi che davano stabile il Likud con 30 seggi, mentre al partito di Bennett andrebbero solo due seggi in più, presi dal partito di Kahlon che ne perderebbe due, mentre Lieberman rimarrebbe con gli stessi 6 deputati di oggi.
Quindi tanto rumore per nulla, anche se Hamas si è vantato di aver causato un terremoto politico in Israele.
la corrispondenza di Massimo Caviglia
Prima la provocazione del blitz a Gaza, mentre il primo ministro era a Parigi;
poi, dopo i 400 missili palestinesi di risposta, le dimissioni di Lieberman dal dicastero della Difesa perché Netanyahu, all'invasione della Striscia, aveva preferito una tregua.
Ne avevano approfittato anche i ministri Bennett e Kahlon, minacciando di abbandonare con i loro partiti la coalizione e chiedere elezioni anticipate per trarre vantaggio dalla presunta debolezza di Netanyahu.
Ma fino all'ultimo il premier ha voluto convincere i partiti della coalizione a tenere in vita il governo in questo delicato momento.
Nel discorso di ieri, in cui annunciava di assumere il dicastero della Difesa, Netanyahu ha parlato di scelte difficili per la sicurezza dello Stato.
Criticando Lieberman, ha detto che "non si gioca a far politica, né si abbandona il proprio posto, nel mezzo della battaglia, perché la sicurezza nazionale va oltre gli interessi personali".
Ha poi sostenuto che gli altri hanno solo una visione parziale delle operazioni in corso, mentre lui ha un programma chiaro di cosa occorra fare e quando.
"Il problema più grave è il programma nucleare iraniano" - ha ribadito il premier - "e sarebbe imprudente indire elezioni anticipate indebolendo il paese".
Si è infine augurato che i partiti di governo mostrino responsabilità per il bene dello Stato, e il suo discorso è stato a sorpresa accolto dal ministro Bennett, che ha deciso di non dimettersi e dare fiducia a Netanyahu.
Così il governo ha ancora una maggioranza parlamentare e un altro anno davanti fino alle prossime elezioni, forse anche grazie ai sondaggi che davano stabile il Likud con 30 seggi, mentre al partito di Bennett andrebbero solo due seggi in più, presi dal partito di Kahlon che ne perderebbe due, mentre Lieberman rimarrebbe con gli stessi 6 deputati di oggi.
Quindi tanto rumore per nulla, anche se Hamas si è vantato di aver causato un terremoto politico in Israele.
la corrispondenza di Massimo Caviglia
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