Settato già da tempo su una guerra di lunga durata, il sistema industriale russo. Perché è ormai assodato come per il Cremlino questo conflitto abbia un valore esistenziale; contro quello che di prassi definisce l'”Occidente collettivo”. Alla vigilia dell'invasione dell'Ucraina si parlava spesso di quanto fosse potente l'esercito, a fronte di una fragilità strutturale dell'economia.
Alla prova dei fatti le carte pare si siano ribaltate. Nell'ultimo aggiornamento del World Economic Outlook, il Fondo Monetario ha infatti rivisto al rialzo le stime di crescita del PIL russo: +0,3% per l'anno in corso; addirittura il 2,1 nel 2024. Meglio dunque dell'1,6% previsto per Eurolandia; alle prese con inflazione e questione energetica.
Con sanzioni sempre più stringenti si voleva fiaccare il sistema produttivo russo, paralizzando lo sforzo bellico. Obiettivo non raggiunto, almeno in questa fase. Anche perché una parte del Mondo non sembra condividere la linea occidentale di massima pressione su Mosca. Innanzitutto i Paesi del BRICS. Nel corso della visita di Scholz a Brasilia il Presidente Lula ha sottolineato come il proprio Paese cerchi la pace; da qui la decisione di non inviare munizioni all'Ucraina.
E pure in Europa non mancano posizioni almeno parzialmente controcorrente. Non solo l'Ungheria, irritata peraltro con Kiev per la questione della minoranza magiara in Transcarpazia. Ieri il Presidente croato Milanovic ha ribadito la propria personale contrarietà a forniture di armi all'Ucraina; facendo peraltro un parallelismo tra le vicende della Crimea e del Kosovo.
In questo scenario le nuove, e sempre più pressanti richieste di mezzi militari avanzati da parte del Paese aggredito; attualmente in difficoltà sul campo, con le forze russe in lenta progressione nel Donbass e perdite ingenti da ambo le parti. Kiev ha parlato oggi della necessità di almeno 200 caccia occidentali. Ma dopo la frenata di Berlino, e l'apertura – quantomeno di principio – di Macron, è arrivato infine il “no” di Biden all'invio di F-16.