16 febbraio. Il giorno nel quale, secondo l'intelligence statunitense, sarebbe potuta iniziare un'invasione russa. Non è andata così, ormai è chiaro; e a questo ennesimo falso allarme, proveniente da oltreoceano, ha come prevedibile fatto seguito l'ironia di Putin. Che ad avviso di alcuni commentatori esce rafforzato da questa vicenda. Avendo dimostrato di essere un interlocutore ineludibile per Stati Uniti ed UE; e facendo emergere notevoli diversità di approccio in campo occidentale.
E questo al netto della sostanziale garanzia – ribadita dal cancelliere tedesco Scholz - che perlomeno nel breve-medio periodo Kiev non entrerà a far parte della NATO: principale linea rossa per il Cremlino. Da questa crisi anche un'amara constatazione per il popolo ucraino: perché è parso chiaro che - qualora la situazione fosse precipitata -, né l'America, né tanto meno i Paesi Europei, sarebbero intervenuti militarmente a sua difesa; limitandosi a minacciare dure sanzioni contro Mosca. Nel frattempo prosegue il disimpegno di parte delle forze russe, dislocate nei pressi delle frontiere. Ma sia la NATO, che i vertici dell'Unione Europea, chiedono prove di una effettiva de-escalation.
Un segnale concreto di apertura al dialogo è comunque venuto oggi dall'Alto rappresentante UE, Borrell; che pur rimarcando la necessità di preparare una risposta unitaria, ha invitato a considerare le “preoccupazioni di sicurezza” di Mosca. E anche negli USA, in campo Dem, c'è chi ha invitato ad analizzare le cause profonde delle tensioni, rifiutando un approccio “muscolare”. Bernie Sanders, fra le altre cose, si è chiesto quale sarebbe la reazione degli Stati Uniti se, ad esempio il Messico, fosse in procinto di formare un'alleanza militare con un avversario di Washington.