Qualcosa sembrerebbe muoversi, in queste ultime ore. Come dimostra la richiesta del Patriarca Kirill per una tregua dalle 12.00 di domani alla mezzanotte del 7 gennaio, in occasione del Natale ortodosso. Appello che colpisce, quello della massima autorità spirituale russa; specie se si considerano le precedenti prese di posizione su questa guerra: allineate alla postura del Cremlino; e caratterizzate da un costante afflato antioccidentale. Iniziativa – quella di Cirillo I - da leggere insieme a quella di Erdogan; che nell'ultimo colloquio telefonico con Putin ha chiesto un cessate il fuoco “unilaterale”. Mai fino ad ora si era spinto a tanto, il leader turco, nella sua interlocuzione con il Cremlino. E ciò a dispetto degli enormi interessi economici e geopolitici in ballo; come l'hub gasiero, per il quale si sta fissando una road map.
Putin ha dal canto suo dichiarato come la Russia sia aperta ad un “dialogo serio” con Kiev; sempre che quest'ultima – ha aggiunto – soddisfi “le richieste note”, e tenga conto “delle nuove realtà territoriali”. Se queste sono le premesse la pace resta un'utopia. Perché i decisori ucraini si confermano refrattari – in questa fase - a qualunque compromesso. “Dobbiamo porre fine all'aggressione russa esattamente quest'anno”, ha tuonato Zelensky nel suo ultimo messaggio serale; sollecitando ancora i Paesi NATO sul rifornimento di carri armati.
E ciò alla luce della situazione sul campo; perché a fronte dello stallo sul fronte di Bakhmut – attuale epicentro dei combattimenti – si inseguono rumors su imminenti grandi offensive, in altri settori, da parte di entrambi i belligeranti. Uno choc, per le forze di Mosca, il devastante strike subito la notte di Capodanno a Makiivka. Ma anche gli ucraini stanno pagando un prezzo elevato per tenere le posizioni nel Donbass. Chi sarà in grado di riprendere l'iniziativa – sostengono alcuni - avrà probabilmente un vantaggio decisivo in vista della primavera; quando potrebbero decidersi le sorti di questo conflitto.