Washington - Lo scambio di prigionieri tra Washington e Mosca non è stata la prova generale di un possibile dialogo per porre fine alla guerra in Ucraina. La liberazione della cestista Brittney Griner e del trafficante di armi Viktor Bout appare come un caso isolato, nel lungo braccio di ferro tra Joe Biden e Vladimir Putin, iniziato il 24 febbraio. Nello stesso giorno in cui la Griner faceva ritorno a casa, il presidente russo, pur riconoscendo che "alla fine si dovrà raggiungere un accordo", ha rilanciato le accuse all'Occidente e le minacce nucleari, non escludendo un attacco preventivo da parte di Mosca. Anche da parte americana i toni sono rimasti quelli consueti. Il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, John Kirby, ha denunciato nuovamente la fornitura di droni e possibilmente di missili balistici iraniani alla Russia. Washington ha quindi annunciato nuove sanzioni contro Mosca e altri 275 milioni di dollari di aiuti militari all'Ucraina, per difendersi dagli attacchi aerei che colpiscono popolazione e infrastrutture civili. Tutto questo mentre a Istanbul si riunivano le delegazioni dei due Paesi, ufficialmente per trattare questioni "legate al lavoro delle ambasciate". Ma è probabile che, come già avvenuto a metà novembre, con l'incontro, sempre in Turchia, tra il direttore della Cia, William Burns, e il suo omologo russo, Sergey Naryshkin, si sia discusso anche del rischio di un'escalation del conflitto, che Washington intende assolutamente evitare. Come dimostrerebbero le rivelazioni della stampa americana, secondo cui i sistemi missilistici forniti all'Ucraina sarebbero stati modificati per impedire che venga colpito il territorio russo, o la freddezza con la quale è stata accolta la richiesta di Kiev di essere rifornita di cluster bomb, le micidiali bombe a grappolo messe al bando dalle Nazioni Unite.
La corrispondenza da Washington di Marco Liconti (LA PRESSE)