"Un primo importante passo per una soluzione politica al conflitto in Yemen". Al termine dei negoziati di pace che si sono appena conclusi nella città svedese di Rimbo, il ministro degli Esteri emiratino, Anwar Gargash, ha commentato così i risultati di questi otto giorni di confronto tra le parti.
Il governo yemenita e i ribelli Houthi hanno raggiunto un accordo per il cessate il fuoco nella città portuale di Hodeidah, sul Mar Rosso, e per il ritiro delle truppe dall'intera area, cuore degli scontri nel Paese. Le potenze che stanno dietro al conflitto hanno dunque finalmente deciso di farsi da parte: l'Arabia Saudita e gli Emirati, che combattono a fianco del governo lealista, gli Stati Uniti (il senato a maggioranza repubblicana giovedì scorso ha votato, contro l'amministrazione Trump, per l’interruzione dei finanziamenti a questa guerra), l'Iran che appoggia e arma invece il gruppo degli Houthi.
Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha dichiarato che entrambe le parti hanno concordato il "ritiro di tutte le forze": nel porto e nella città l'ordine sarà mantenuto da una forza neutrale con la supervisione delle Nazioni Unite.
E anche se la pace è ancora lontana, questo è sicuramente un passo fondamentale almeno per fermare la crisi umanitaria. Il nodo decisivo era infatti proprio il porto di Hodeida, in mano ai ribelli, ma ormai accerchiato dalle forze della coalizione araba, e attraverso il quale passano la maggior parte dei rifornimenti destinati alla popolazione yemenita. Il cessate il fuoco permetterà quindi l'apertura di corridoi umanitari per approvvigionare tutte le aree del Paese. Secondo Guterres l'intesa su Hodeidah, "il nodo più difficile che abbiamo dovuto affrontare" ha sottolineato, avrà un impatto positivo anche per la sicurezza nel Paese.
Grazie agli incontri mediati dall'Onu, si è raggiunto l'accordo anche per uno scambio di prigionieri tra le forze yemenite lealiste e gli Houthi. Nulla di fatto, invece, per la riapertura dell'aeroporto della capitale Sanaa, anche questa in mano ai ribelli.
E nella speranza che l'accordo regga, le parti hanno 21 giorni al massimo per ritirarsi completamente, si attende il secondo round di colloqui, previsti a fine di gennaio.
Elisabetta Norzi
Il governo yemenita e i ribelli Houthi hanno raggiunto un accordo per il cessate il fuoco nella città portuale di Hodeidah, sul Mar Rosso, e per il ritiro delle truppe dall'intera area, cuore degli scontri nel Paese. Le potenze che stanno dietro al conflitto hanno dunque finalmente deciso di farsi da parte: l'Arabia Saudita e gli Emirati, che combattono a fianco del governo lealista, gli Stati Uniti (il senato a maggioranza repubblicana giovedì scorso ha votato, contro l'amministrazione Trump, per l’interruzione dei finanziamenti a questa guerra), l'Iran che appoggia e arma invece il gruppo degli Houthi.
Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha dichiarato che entrambe le parti hanno concordato il "ritiro di tutte le forze": nel porto e nella città l'ordine sarà mantenuto da una forza neutrale con la supervisione delle Nazioni Unite.
E anche se la pace è ancora lontana, questo è sicuramente un passo fondamentale almeno per fermare la crisi umanitaria. Il nodo decisivo era infatti proprio il porto di Hodeida, in mano ai ribelli, ma ormai accerchiato dalle forze della coalizione araba, e attraverso il quale passano la maggior parte dei rifornimenti destinati alla popolazione yemenita. Il cessate il fuoco permetterà quindi l'apertura di corridoi umanitari per approvvigionare tutte le aree del Paese. Secondo Guterres l'intesa su Hodeidah, "il nodo più difficile che abbiamo dovuto affrontare" ha sottolineato, avrà un impatto positivo anche per la sicurezza nel Paese.
Grazie agli incontri mediati dall'Onu, si è raggiunto l'accordo anche per uno scambio di prigionieri tra le forze yemenite lealiste e gli Houthi. Nulla di fatto, invece, per la riapertura dell'aeroporto della capitale Sanaa, anche questa in mano ai ribelli.
E nella speranza che l'accordo regga, le parti hanno 21 giorni al massimo per ritirarsi completamente, si attende il secondo round di colloqui, previsti a fine di gennaio.
Elisabetta Norzi
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