4 articoli per dire “no” al fenomeno odioso delle cosiddette “dimissioni in bianco”. Pratica ovviamente sotterranea; un ricatto, sostanzialmente, che vede come vittime soprattutto le donne. Una gravidanza, una richiesta di permesso per accudire il figlio disabile o una lunga malattia possono costare la perdita del posto quando nel cassetto del titolare dell'azienda c'è una lettera già firmata con le proprie dimissioni. E in un periodo di crisi acuta – come quello attuale – è difficile rinunciare ad un'offerta di lavoro, pur con questa pesante ipoteca. Il meccanismo previsto dal progetto di legge, promosso dalle donne del Partito dei Socialisti e dei Democratici, appare tanto semplice quanto efficace: nel caso di dimissioni o risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, è il lavoratore che deve recarsi di persona all'Ufficio del Lavoro e sottoscrivere l'apposito modulo, che sostituisce la comunicazione obbligatoria dell'interruzione del lavoro, attualmente in vigore. Verifica diretta, insomma. Il progetto, già depositato all'ufficio segreteria istituzionale, è il frutto di un lungo confronto con i sindacati, le associazioni di categoria e le forze politiche. Un gesto di civiltà. Con i tempi che corrono la pratica delle dimissioni in bianco potrebbe costituire anche un mezzo subdolo per usufruire di incentivi per l'assunzione e la formazione del personale: con le dimissioni fasulle del dipendente, infatti, il datore di lavoro non avrebbe l'obbligo di restituire i benefici economici connessi con un'eventuale assunzione a tempo indeterminato.
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