La legge sugli incentivi all’occupazione altro non è che una manciata di palliativi forniti ad un mercato, quello del lavoro, ormai drogato da defiscalizzazioni e sgravi contributivi. Nessuna novità dunque, nessuna prospettiva ma al contrario un rincorrere misure che si sono già dimostrate fallimentari, accentuandone però i rischi e le contropartite: l’abbassamento dei diritti, dei salari e delle condizioni dei lavoratori, l’abbassamento netto del potere contrattuale di chi cerca un lavoro.
Da anni si continua a perseguire il modello della corsa al ribasso, per favorire il lavoro a tutti i costi, togliendo valore al lavoro e ai lavoratori, mentre dall’altra parte si blindano le ore di lavoro e i posti disponibili (vedi legge sulle libere professioni mediche e non mediche), aumentando una disuguaglianza ed una distribuzione della ricchezza e delle opportunità che non ha niente a che vedere con l’equità.
Vengono anche abrogati gli ultimi residui delle forme di tutela dei lavoratori, rappresentati dagli articoli 25, 26 e 27 della Legge 73/2010.
A nostro avviso, le conseguenze di questa legge saranno sostanzialmente due:
-ulteriori problemi di bilancio, in quanto l’imposizione contributiva si sposta e diventa a carico dello Stato. Infatti non solo i lavoratori si vedranno decurtati gli stipendi di percentuali significative, ma le aziende saranno anche esentate dal pagamento dei contributi, assieme a parte della paga dei lavoratori, mettendo sempre più a rischio il bilancio statale. Paradossalmente, dopo questa legge rischia di essere più conveniente per lo Stato usare queste risorse in modo diretto, pagando a tutti i disoccupati un reddito di cittadinanza svincolato dal lavoro;
-la legalizzazione di forme di lavoro che tolgono dignità ai lavoratori e che, contrariamente agli obiettivi che la legge si prefigge, toglie valore alla formazione. Infatti, la norma non esclude forme di ricatto da parte del datore di lavoro (colui che a fine contratto deve comunicare l’esito del contratto formativo), mentre il lavoratore rischia di essere un apprendista a vita. Non è stato nemmeno inserito un meccanismo che garantisce prioritariamente l’assunzione di chi ha fatto un periodo di formazione: al contrario proprio la formazione diventa uno stratagemma per garantire un continuo calvario di sottopaghe, generando grande incertezza nel lavoratore, che sarà costretto a cominciare sempre da zero.
Eppure queste misure non affrontano il problema alla base!
A breve approderà in Aula anche la discussione sul fatidico Decreto Sviluppo, che segue per il centro storico la stessa logica perversa che la legge Belluzzi persegue per il mondo del lavoro: anche in questo caso la politica, anziché creare le condizioni affinché ci sia lavoro, garantisce alle strutture ricettive del centro una serie di sgravi contributivi e sulle bollette (sgravi che tra l’altro andranno a pesare sulle casse statali) e che rappresentano solamente dei palliativi, perché non affrontano il problema a monte, ovvero la mancanza di lavoro.
Proseguendo ad inseguire questa filosofia, a breve i costi dei lavoratori saranno tutti a carico dello Stato che, dall’altra parte, già taglia i servizi ai cittadini (sanità e istruzione in primis) per rincorrere obiettivi che ci paiono di puro mantenimento e assistenzialismo. Il tutto in mancanza di una reale pianificazione che crei le condizioni favorevoli affinché le aziende serie possano realmente svilupparsi, anziché limitarsi a sopravvivere.
Ci viene allora da pensare che, anziché usare le casse statali per garantire forza lavoro a basso prezzo, paradossalmente si riuscirebbe a coprire le esigenze delle famiglie in modo diretto, con un salario di cittadinanza svincolato dall’accesso al mondo del lavoro. Mentre nella finanziaria del 2012, si prevedeva di ampliare e di elargire il salario di cittadinanza anche ai residenti da almeno 5 anni, al contrario ora è stato tolto a tutti. In altri paesi questo sistema ha anche favorito una maggiore autoimprenditorialità: infatti proprio chi sa di avere le spalle coperte si sente incentivato a mettersi in gioco.
Ma si sa, quando la politica è “vuoto a (p)rendere“, ottiene più consenso tenendo i cittadini sotto scacco, facendo passare come favore quello che spetta loro di diritto, piuttosto che lavorare per favorire e incoraggiare il senso di responsabilità (che, evidentemente, la classe politica è la prima a non possedere).
Comunicato stampa Movimento R.E.T.E.
Da anni si continua a perseguire il modello della corsa al ribasso, per favorire il lavoro a tutti i costi, togliendo valore al lavoro e ai lavoratori, mentre dall’altra parte si blindano le ore di lavoro e i posti disponibili (vedi legge sulle libere professioni mediche e non mediche), aumentando una disuguaglianza ed una distribuzione della ricchezza e delle opportunità che non ha niente a che vedere con l’equità.
Vengono anche abrogati gli ultimi residui delle forme di tutela dei lavoratori, rappresentati dagli articoli 25, 26 e 27 della Legge 73/2010.
A nostro avviso, le conseguenze di questa legge saranno sostanzialmente due:
-ulteriori problemi di bilancio, in quanto l’imposizione contributiva si sposta e diventa a carico dello Stato. Infatti non solo i lavoratori si vedranno decurtati gli stipendi di percentuali significative, ma le aziende saranno anche esentate dal pagamento dei contributi, assieme a parte della paga dei lavoratori, mettendo sempre più a rischio il bilancio statale. Paradossalmente, dopo questa legge rischia di essere più conveniente per lo Stato usare queste risorse in modo diretto, pagando a tutti i disoccupati un reddito di cittadinanza svincolato dal lavoro;
-la legalizzazione di forme di lavoro che tolgono dignità ai lavoratori e che, contrariamente agli obiettivi che la legge si prefigge, toglie valore alla formazione. Infatti, la norma non esclude forme di ricatto da parte del datore di lavoro (colui che a fine contratto deve comunicare l’esito del contratto formativo), mentre il lavoratore rischia di essere un apprendista a vita. Non è stato nemmeno inserito un meccanismo che garantisce prioritariamente l’assunzione di chi ha fatto un periodo di formazione: al contrario proprio la formazione diventa uno stratagemma per garantire un continuo calvario di sottopaghe, generando grande incertezza nel lavoratore, che sarà costretto a cominciare sempre da zero.
Eppure queste misure non affrontano il problema alla base!
A breve approderà in Aula anche la discussione sul fatidico Decreto Sviluppo, che segue per il centro storico la stessa logica perversa che la legge Belluzzi persegue per il mondo del lavoro: anche in questo caso la politica, anziché creare le condizioni affinché ci sia lavoro, garantisce alle strutture ricettive del centro una serie di sgravi contributivi e sulle bollette (sgravi che tra l’altro andranno a pesare sulle casse statali) e che rappresentano solamente dei palliativi, perché non affrontano il problema a monte, ovvero la mancanza di lavoro.
Proseguendo ad inseguire questa filosofia, a breve i costi dei lavoratori saranno tutti a carico dello Stato che, dall’altra parte, già taglia i servizi ai cittadini (sanità e istruzione in primis) per rincorrere obiettivi che ci paiono di puro mantenimento e assistenzialismo. Il tutto in mancanza di una reale pianificazione che crei le condizioni favorevoli affinché le aziende serie possano realmente svilupparsi, anziché limitarsi a sopravvivere.
Ci viene allora da pensare che, anziché usare le casse statali per garantire forza lavoro a basso prezzo, paradossalmente si riuscirebbe a coprire le esigenze delle famiglie in modo diretto, con un salario di cittadinanza svincolato dall’accesso al mondo del lavoro. Mentre nella finanziaria del 2012, si prevedeva di ampliare e di elargire il salario di cittadinanza anche ai residenti da almeno 5 anni, al contrario ora è stato tolto a tutti. In altri paesi questo sistema ha anche favorito una maggiore autoimprenditorialità: infatti proprio chi sa di avere le spalle coperte si sente incentivato a mettersi in gioco.
Ma si sa, quando la politica è “vuoto a (p)rendere“, ottiene più consenso tenendo i cittadini sotto scacco, facendo passare come favore quello che spetta loro di diritto, piuttosto che lavorare per favorire e incoraggiare il senso di responsabilità (che, evidentemente, la classe politica è la prima a non possedere).
Comunicato stampa Movimento R.E.T.E.
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