Crisi è un termine che spaventa, soprattutto oggi dopo che, per cinque lunghi anni, San Marino ha vissuto la fase di decrescita più drammatica della sua storia economica recente. Ma con il sostantivo ‘Crisi’ non ci si limita a definire una fase di peggioramento, è infatti un termine che nasconde elementi di grande positività. Con crisi la lingua italiana definisce anche la fase che delimita l’imminente fine di un sistema e, quando un sistema finisce, chi sa leggere in prospettiva riesce a intravedere le novità che possono essere sviluppate nel futuro più prossimo.
Crisis o discriminem, indica il Campanini-Carboni, l’amato/odiato vocabolario di latino, introducendo il termine ad una dimensione più ampia, quella del momento cruciale della ‘scelta’. Se quindi la lingua italiana si limita ad introdurre gli elementi del possibile cambiamento, quella latina ci trasporta verso il passo successivo, quello della decisione rispetto alla molteplicità di opzioni che si aprono. Ma l’etimologia della parola viaggia diretta verso origini ancor più lontane, ma così dense di contenuto da caratterizzare l’etica civile della moderna polis. Crisi è di fatto parola greca e il significato ci conduce verso un ulteriore salto di qualità, quello della decisione adottata come giudizio, cioè nella dimensione della scelta collegata al valore assoluto della giustizia.
Così studiata la crisi non spaventa più i popoli, ma solo chi vive di privilegi derivanti dallo status quo. Le famose rendite di posizione che hanno tentato di bloccare i passaggi dell’umanità dalla schiavitù al feudalesimo, dai servi della gleba al proletariato e da questo alla società dei diritti per tutti senza distinzione di stato sociale, sesso, razza, religione.
Le crisi di quei sistemi hanno consentito al mondo di progredire, la crisi che sta vivendo San Marino e dalla quale si stanno profilando gli elementi di uscita, cambia radicalmente la nostra società facendoci forse più poveri, ma di certo molto più ricchi per la riconquista dei valori della solidarietà, dell’equità, del merito, della capacità, dell’impegno.
In questi mesi difficili si è agito, anche pesantemente, sulla distribuzione delle risorse e questa azione fatta per salvare lo Stato ha toccato anche la scuola. Chi ha condotto questa politica era più che naturale si attirasse la critica e altrettanto naturale risulta ascoltare la reazione del mondo della scuola alla limitazione di alcune risorse.
Ma, come mi ha intelligentemente detto uno studente la scorsa settimana, se è giusto protestare, nella protesta sarebbe interessante aggiungere le proposte per definire il nuovo modello educativo e formativo che la scuola è chiamata, insistentemente, a realizzare per contribuire a trasformare la crisi di sistema in una nuova prospettiva.
Come ho scritto nella premessa a questa edizione dell’annuario scolastico, “la forza di una scuola la si misura sopratutto dalla capacità di guidare i processi evolutivi della società cui appartiene”.
Non si tratta solo di formare la classe dirigente del futuro, compito ovviamente fondamentale, ma di generare un continuo confronto fra ciò che la società (politica, economica, culturale) è e ciò che la società potrebbe essere”.
Con il decreto che il Consiglio Grande e Generale ha richiesto di approvare entro il 31 marzo prossimo, le politiche di spending review potranno dirsi concluse. La scuola ha fatto la propria parte contribuendo a salvare da un sicuro fallimento il bilancio dello Stato, un’azione di difesa ben condotta, riconosciuta da tutti gli attori come una delle più efficaci e appropriate.
Ora l’azione si deve però svolgere in attacco perché le sfide non si vincono solo con una buona difesa, ma soprattutto non fermandosi, andando avanti. Ora vogliamo pensare al futuro e la scuola sarà chiamata a fare la sua parte. Una parte strategica come lo è stata nel corso del ‘900, quando la presenza della quasi totalità degli ‘intellettuali’era direttamente coinvolta nel lavoro della scuola o comunque aveva con essa relazioni indirette. Oggi di certo più difficile conservare il medesimo ruolo data la concorrenza di una molteplicità di agenzie formative diverse (e non sempre qualificate) ad iniziare dai media vecchi, ma sopratutto nuovi, e dalle opportunità offerte da una più immediata mobilità.
Ma in questa fase così complessa occorre evitare il rischio dell’autoreferenzialità, cioè di chiudersi in se stessi per coltivare alcune funzioni primarie fosse anche quella di assicurare l’espletamento di buoni programmi corroborati da buone valutazioni degli studenti.
La causa spesso è determinata dal tempo scuola, insufficiente a volte per sviluppare attività terze rispetto al programma e di frequente non proporzionato al bisogno di sviluppare attività di ricerca e approfondimento sui temi del programma stesso.
Importantissimi sono i momenti in cui docenti e studenti propongono al pubblico, iniziando ovviamente dalle famiglie, presentazioni che partono dalle loro materie di studio o, viceversa, quando la scuola partecipa alle iniziative che altre componenti della società propongono. Veramente interessanti i percorsi che intersecano le attività della scuola con quelle degli altri istituti culturali (musei, università, teatro). Attività che abbiamo potuto apprezzare con l’iniziativa realizzata dal liceo classico lo scorso mese.
Passi importanti questi, ma ancora tanti altri ne devono essere progettati per riavvicinarsi, in chiave moderna, all’obiettivo che ieri era più facilmente a portata di mano della scuola e vincere la sfida della ‘concorrenza’ con le altre agenzie formative.
130 anni di liceo hanno non solo dato al Paese classe dirigente, ma anche determinato un baluardo per evitare la regressione della cultura, messa a vero rischio dalle follie che hanno visto nell’importazione di un’economia senza etica la teorizzazione di modelli di sviluppo non solo impossibili, ma devastanti per la società e la coscienza.
Questa ‘fortificazione’, va rafforzata, ampliata, migliorata nelle sue capacità di difesa, ma anche in quelle di avamposto per la progettualità culturale dell’intera società.
Con questo spirito, chiusa la fase della spendig review e messo finalmente in sicurezza il bilancio dello Stato, dobbiamo apprestarci ai processi di riforma che nella scuola devono essere sempre in moto.
Offrire più tempo affinché l’azione della scuola possa non essere assillata dalle funzioni imposte dai programmi, dotarsi lungo l’intero periodo di studio di programmi didattici unitari e coerenti che rispondano alle nuove esigenze formative, consolidare la prospettiva della verticalità attraverso la riorganizzazione del sistema di base, incentivare le scelte verso l’alta formazione, attivare i sistemi di valutazione, ripensare il profilo professionale della docenza in una prospettiva europea per incentivarne lo sviluppo professionale, l’assunzione di responsabilità, l’equilibrio tra diritti e doveri, incentivare il plurilinguismo e le opportunità di fare esperienze fuori dalla scuola, mi pare possano essere temi su cui riflettere da oggi in avanti.
Comunicato stampa Segreteria Istruzione e Cultura
Crisis o discriminem, indica il Campanini-Carboni, l’amato/odiato vocabolario di latino, introducendo il termine ad una dimensione più ampia, quella del momento cruciale della ‘scelta’. Se quindi la lingua italiana si limita ad introdurre gli elementi del possibile cambiamento, quella latina ci trasporta verso il passo successivo, quello della decisione rispetto alla molteplicità di opzioni che si aprono. Ma l’etimologia della parola viaggia diretta verso origini ancor più lontane, ma così dense di contenuto da caratterizzare l’etica civile della moderna polis. Crisi è di fatto parola greca e il significato ci conduce verso un ulteriore salto di qualità, quello della decisione adottata come giudizio, cioè nella dimensione della scelta collegata al valore assoluto della giustizia.
Così studiata la crisi non spaventa più i popoli, ma solo chi vive di privilegi derivanti dallo status quo. Le famose rendite di posizione che hanno tentato di bloccare i passaggi dell’umanità dalla schiavitù al feudalesimo, dai servi della gleba al proletariato e da questo alla società dei diritti per tutti senza distinzione di stato sociale, sesso, razza, religione.
Le crisi di quei sistemi hanno consentito al mondo di progredire, la crisi che sta vivendo San Marino e dalla quale si stanno profilando gli elementi di uscita, cambia radicalmente la nostra società facendoci forse più poveri, ma di certo molto più ricchi per la riconquista dei valori della solidarietà, dell’equità, del merito, della capacità, dell’impegno.
In questi mesi difficili si è agito, anche pesantemente, sulla distribuzione delle risorse e questa azione fatta per salvare lo Stato ha toccato anche la scuola. Chi ha condotto questa politica era più che naturale si attirasse la critica e altrettanto naturale risulta ascoltare la reazione del mondo della scuola alla limitazione di alcune risorse.
Ma, come mi ha intelligentemente detto uno studente la scorsa settimana, se è giusto protestare, nella protesta sarebbe interessante aggiungere le proposte per definire il nuovo modello educativo e formativo che la scuola è chiamata, insistentemente, a realizzare per contribuire a trasformare la crisi di sistema in una nuova prospettiva.
Come ho scritto nella premessa a questa edizione dell’annuario scolastico, “la forza di una scuola la si misura sopratutto dalla capacità di guidare i processi evolutivi della società cui appartiene”.
Non si tratta solo di formare la classe dirigente del futuro, compito ovviamente fondamentale, ma di generare un continuo confronto fra ciò che la società (politica, economica, culturale) è e ciò che la società potrebbe essere”.
Con il decreto che il Consiglio Grande e Generale ha richiesto di approvare entro il 31 marzo prossimo, le politiche di spending review potranno dirsi concluse. La scuola ha fatto la propria parte contribuendo a salvare da un sicuro fallimento il bilancio dello Stato, un’azione di difesa ben condotta, riconosciuta da tutti gli attori come una delle più efficaci e appropriate.
Ora l’azione si deve però svolgere in attacco perché le sfide non si vincono solo con una buona difesa, ma soprattutto non fermandosi, andando avanti. Ora vogliamo pensare al futuro e la scuola sarà chiamata a fare la sua parte. Una parte strategica come lo è stata nel corso del ‘900, quando la presenza della quasi totalità degli ‘intellettuali’era direttamente coinvolta nel lavoro della scuola o comunque aveva con essa relazioni indirette. Oggi di certo più difficile conservare il medesimo ruolo data la concorrenza di una molteplicità di agenzie formative diverse (e non sempre qualificate) ad iniziare dai media vecchi, ma sopratutto nuovi, e dalle opportunità offerte da una più immediata mobilità.
Ma in questa fase così complessa occorre evitare il rischio dell’autoreferenzialità, cioè di chiudersi in se stessi per coltivare alcune funzioni primarie fosse anche quella di assicurare l’espletamento di buoni programmi corroborati da buone valutazioni degli studenti.
La causa spesso è determinata dal tempo scuola, insufficiente a volte per sviluppare attività terze rispetto al programma e di frequente non proporzionato al bisogno di sviluppare attività di ricerca e approfondimento sui temi del programma stesso.
Importantissimi sono i momenti in cui docenti e studenti propongono al pubblico, iniziando ovviamente dalle famiglie, presentazioni che partono dalle loro materie di studio o, viceversa, quando la scuola partecipa alle iniziative che altre componenti della società propongono. Veramente interessanti i percorsi che intersecano le attività della scuola con quelle degli altri istituti culturali (musei, università, teatro). Attività che abbiamo potuto apprezzare con l’iniziativa realizzata dal liceo classico lo scorso mese.
Passi importanti questi, ma ancora tanti altri ne devono essere progettati per riavvicinarsi, in chiave moderna, all’obiettivo che ieri era più facilmente a portata di mano della scuola e vincere la sfida della ‘concorrenza’ con le altre agenzie formative.
130 anni di liceo hanno non solo dato al Paese classe dirigente, ma anche determinato un baluardo per evitare la regressione della cultura, messa a vero rischio dalle follie che hanno visto nell’importazione di un’economia senza etica la teorizzazione di modelli di sviluppo non solo impossibili, ma devastanti per la società e la coscienza.
Questa ‘fortificazione’, va rafforzata, ampliata, migliorata nelle sue capacità di difesa, ma anche in quelle di avamposto per la progettualità culturale dell’intera società.
Con questo spirito, chiusa la fase della spendig review e messo finalmente in sicurezza il bilancio dello Stato, dobbiamo apprestarci ai processi di riforma che nella scuola devono essere sempre in moto.
Offrire più tempo affinché l’azione della scuola possa non essere assillata dalle funzioni imposte dai programmi, dotarsi lungo l’intero periodo di studio di programmi didattici unitari e coerenti che rispondano alle nuove esigenze formative, consolidare la prospettiva della verticalità attraverso la riorganizzazione del sistema di base, incentivare le scelte verso l’alta formazione, attivare i sistemi di valutazione, ripensare il profilo professionale della docenza in una prospettiva europea per incentivarne lo sviluppo professionale, l’assunzione di responsabilità, l’equilibrio tra diritti e doveri, incentivare il plurilinguismo e le opportunità di fare esperienze fuori dalla scuola, mi pare possano essere temi su cui riflettere da oggi in avanti.
Comunicato stampa Segreteria Istruzione e Cultura
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