Ha fatto bene la Democrazia Cristiana, nel corso della recente Festa dell’Amicizia, a lanciare il tema del superamento della frammentazione eccessiva dei partiti e della semplificazione del quadro politico. Che l’obiettivo corrisponda all’esigenza di un’azione più efficace e risoluta della politica, di cui tutti avvertiamo la necessità, ad una maggiore e migliore funzionalità del nostro sistema democratico e quindi all’interesse generale del Paese, credo sia ampiamente condiviso. Ciò che lascia perplessi è l’assenza di una proposta chiara e definita, la mancanza di risposte a interrogativi che la stessa DC non può non essersi posta.
In poche parole, la Democrazia Cristiana è disposta a rinunciare a nome e simbolo del Partito per dare vita insieme ad altri ad un soggetto politico nuovo e diverso? E’ disposta cioè a fare la scelta già compiuta da Alleanza Popolare nell’ultimo suo Congresso?
Se è così, il confronto può iniziare. In assenza invece di tale preliminare disponibilità, che non riguarda solo aspetti formali, non può che emergere il dubbio che il partito di maggioranza relativa tenda solo ad annettere altre forze politiche, più piccole e magari con prospettive incerte, come tutte d’altronde, per ampliare la propria rappresentanza ed il proprio potere, per continuare a svolgere un ruolo egemone in una realtà politica che, nonostante la legge elettorale, non ha ancora fatto proprio il sistema dell’alternanza. Se questo è il vero obiettivo, da raggiungere immediatamente o attraverso il passaggio intermedio di un accordo federativo, credo che il progetto non possa di certo interessare Alleanza Popolare, almeno secondo la mia personale opinione. Non potendo parlare per tutti, mi limito a dire che non sono pochi in AP coloro che non hanno alcuna intenzione di accettare una fusione per incorporazione, di confluire cioè nel partitone dal quale molti di noi anni addietro sono usciti e con non poche ragioni. Una cosa è collaborare insieme e lealmente al Governo del Paese, ben altra cosa è fare parte di un’unica forza politica.
Mi sembra discutibile anche il richiamo ad una comune identità, che se può valere, forse, per alcune singole persone, non vale di certo per un movimento politico come Alleanza Popolare che non è composto solo di ex democristiani, che non ha mai assunto una connotazione ideologica e che per quindici anni si è posto in alternativa alla stessa DC, attribuendole pesanti responsabilità sul piano morale e nella crisi che ha poi travolto il Paese.
Un’altra considerazione: sono convinto che comuni convincimenti etici, non solo da proclamare ma da mettere costantemente in pratica, siano indispensabili nella creazione di un nuovo soggetto politico, ma credo anche che qualsiasi percorso in questa direzione debba nascere da una riscontrata e puntuale convergenza sulle cose da fare e cioè sui programmi da attuare, non limitandosi di certo agli accordi ed ai compromessi frettolosamente raggiunti fra partiti diversi in occasione della costituzione delle coalizioni elettorali. Quindi, necessariamente, qualsiasi operazione per dare vita ad una nuova aggregazione, se vuole essere seria, deve nascere non solo da accordi di vertice ma da intese solide fra le persone, da progetti ampiamente condivisi, dall’inevitabile coinvolgimento delle basi dei diversi partiti.
Ne consegue che i confini di un eventuale nuovo soggetto politico non possono essere determinati, se è vero che consideriamo superate le schematizzazioni ideologiche, da scelte preventive riguardo alla provenienza dei diversi partecipanti, compiute addirittura prima di qualsiasi confronto e verifica. Almeno questa è la mia personale opinione. L’unica discriminante che può e deve essere posta riguarda la dirittura morale delle persone. Chi ha approfittato della politica per fare solo i propri interessi, chi ha incassato tangenti o denaro di dubbia provenienza, per sé o per il proprio partito, chi si è reso responsabile delle politiche spregiudicate che hanno compromesso la credibilità del nostro Paese e tanti danni hanno arrecato alla Repubblica, deve essere mandato subito a casa e non può trovare spazio in alcuna nuova aggregazione politica. E sulle responsabilità individuali, come su quelle collettive, c’è ancora molto lavoro da fare e vi sono molti aspetti da chiarire.
Tito Masi
In poche parole, la Democrazia Cristiana è disposta a rinunciare a nome e simbolo del Partito per dare vita insieme ad altri ad un soggetto politico nuovo e diverso? E’ disposta cioè a fare la scelta già compiuta da Alleanza Popolare nell’ultimo suo Congresso?
Se è così, il confronto può iniziare. In assenza invece di tale preliminare disponibilità, che non riguarda solo aspetti formali, non può che emergere il dubbio che il partito di maggioranza relativa tenda solo ad annettere altre forze politiche, più piccole e magari con prospettive incerte, come tutte d’altronde, per ampliare la propria rappresentanza ed il proprio potere, per continuare a svolgere un ruolo egemone in una realtà politica che, nonostante la legge elettorale, non ha ancora fatto proprio il sistema dell’alternanza. Se questo è il vero obiettivo, da raggiungere immediatamente o attraverso il passaggio intermedio di un accordo federativo, credo che il progetto non possa di certo interessare Alleanza Popolare, almeno secondo la mia personale opinione. Non potendo parlare per tutti, mi limito a dire che non sono pochi in AP coloro che non hanno alcuna intenzione di accettare una fusione per incorporazione, di confluire cioè nel partitone dal quale molti di noi anni addietro sono usciti e con non poche ragioni. Una cosa è collaborare insieme e lealmente al Governo del Paese, ben altra cosa è fare parte di un’unica forza politica.
Mi sembra discutibile anche il richiamo ad una comune identità, che se può valere, forse, per alcune singole persone, non vale di certo per un movimento politico come Alleanza Popolare che non è composto solo di ex democristiani, che non ha mai assunto una connotazione ideologica e che per quindici anni si è posto in alternativa alla stessa DC, attribuendole pesanti responsabilità sul piano morale e nella crisi che ha poi travolto il Paese.
Un’altra considerazione: sono convinto che comuni convincimenti etici, non solo da proclamare ma da mettere costantemente in pratica, siano indispensabili nella creazione di un nuovo soggetto politico, ma credo anche che qualsiasi percorso in questa direzione debba nascere da una riscontrata e puntuale convergenza sulle cose da fare e cioè sui programmi da attuare, non limitandosi di certo agli accordi ed ai compromessi frettolosamente raggiunti fra partiti diversi in occasione della costituzione delle coalizioni elettorali. Quindi, necessariamente, qualsiasi operazione per dare vita ad una nuova aggregazione, se vuole essere seria, deve nascere non solo da accordi di vertice ma da intese solide fra le persone, da progetti ampiamente condivisi, dall’inevitabile coinvolgimento delle basi dei diversi partiti.
Ne consegue che i confini di un eventuale nuovo soggetto politico non possono essere determinati, se è vero che consideriamo superate le schematizzazioni ideologiche, da scelte preventive riguardo alla provenienza dei diversi partecipanti, compiute addirittura prima di qualsiasi confronto e verifica. Almeno questa è la mia personale opinione. L’unica discriminante che può e deve essere posta riguarda la dirittura morale delle persone. Chi ha approfittato della politica per fare solo i propri interessi, chi ha incassato tangenti o denaro di dubbia provenienza, per sé o per il proprio partito, chi si è reso responsabile delle politiche spregiudicate che hanno compromesso la credibilità del nostro Paese e tanti danni hanno arrecato alla Repubblica, deve essere mandato subito a casa e non può trovare spazio in alcuna nuova aggregazione politica. E sulle responsabilità individuali, come su quelle collettive, c’è ancora molto lavoro da fare e vi sono molti aspetti da chiarire.
Tito Masi
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