11 anni di delusioni, campionati anonimi, coppe europee viste da lontano e giocatori e allenatori da dimenticare il prima possibile. Troppo per chi era abituato all'eccellenza, a giocare anche con tre Palloni d'Oro contemporaneamente. Il Milan festeggia uno scudetto atteso dal 2011 e i tifosi, dopo tanto patire, esplodono di gioia e invadono la città. O meglio le città, perché la festa del Diavolo ha abbracciato l'Italia intera. A Rimini per esempio il raduno rossonero ha riempito il Parco Fellini, tra fumogeni, cori e bandiere, che nelle strade s'accompagnano ai clacson.
E poi l'apoteosi a Milano, dove esattamente un anno fa il popolo rossonero era costretto a ingoiare amaro per il tripudio dell'Inter, ora beffata e riagganciata a quota 19. La dedica ai cugini sta, oltre che nei cori di rito, nello Spiaze tanto caro a Simone Inzaghi, sfottò per una sua frase tipica nelle serate storte già ai tempi della Lazio. Strade e metro in festa, 30mila persone in Piazza Duomo e altre migliaia a Casa Milan ad accogliere la squadra.
A sventolare il trofeo e a lanciare i cori, i due simboli principali del trionfo. Stefano Pioli, una vita da mediano delle panchine che dopo anni di fatiche e l'etichetta di “tecnico di seconda fascia” casomai ti trascina allo scudetto (già vinto nel 2001 con gli Allievi del Bologna). E poi Zlatan Ibrahimovic, il tratto d'unione con l'ultimo Milan tricolore tornato per inseguire un sogno al quale credevano lui e pochi altri.
Arrivati a fine 2019 e gennaio 2020 si sono fatti pilastri tecnici e soprattutto emotivi di una squadra che, dopo il lockdown, è cresciuta in maniera costante. Merito anche di una società che ha saputo programmare e pazientare e che ora, due anni dopo, gode di quanto seminato.