Il casus belli è questo: usare qualcuno piuttosto che qualcosa. Il fatto invece è legato a un cartellone pubblicitario di una nota ditta locale, in soldoni: stampiamo dove vogliamo e di tutto “purtroppo” non sul corpo femminile fra l’altro già tatuato e in bella posa. Quel purtroppo virgolettato ha scatenato un putiferio e offeso le donne; l’Authority parla di “devianza culturale” come aberrazione sociale. Rincara la dose, nell’ordine: mercificazione, stereotipo donna-oggetto, volgare doppio senso che svilisce la figura femminile. La legge 97, del 2008, è chiara in materia e impedisce l’uso a scopi pubblicitari di immagini offensive della identità e dignità della persona. Il commissario della legge dopo aver richiamato la normativa europea e i codici internazionali, circostanzia puntigliosamente sapendo di non ledere il diritto di libera espressione oscurando la pubblicità in questione, anzi vieta l’esposizione, precisa di rimuoverla, assegna un termine d’esecuzione (oggi), disponendo la notifica del decreto all’Avvocatura dello Stato: questione chiusa. Cosa dicono i committenti, responsabili della ditta, dopo il giro di carte (ufficiali) e di manifesti (galeotti…)?. Santa pazienza - diciamo noi - ci voleva tanto a capire che il corpo è sacro per quel che c’è dentro: una persona in carne ed ossa; e non un manifesto in pelle umana… “purtroppo”? Nel video le interviste a Tania Ercolani (Authority Pari Opportunità) e Claudio Giani (Progetto Stampa)
Francesco Zingrillo
Francesco Zingrillo
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