Istigazione al suicidio. L’apertura del fascicolo contro ignoti sul caso di Angelo Cardile, il generale della Guardia di Finanza che si è sparato alla tempia giovedì mentre era in corso una perquisizione nella sua casa da parte di ex colleghi, rappresenta un atto tecnico. Una prassi che contribuirà a fare luce nell’inchiesta bolognese sulla “Rimini Yacht”, nella quale angelo Cardile era finito indagato insieme ad altri quattro finanzieri, due ufficiali e due sottufficiali. Secondo l’accusa le date di ispezioni fiscali erano concordate in cambio di denaro: 200 mila euro per chiudere un occhio, o tutte e due in alcuni casi. Sempre secondo l’accusa sarebbe stato proprio Cardile, che aveva un ruolo di consigliere nella società riminese, a concordare l’ispezione con uno degli ufficiali indagati. Sul suo corpo è stata disposta l’autopsia. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono corruzione per atti contrari al dovere d’ufficio. Parallelamente c’è l’inchiesta della Procura di Rimini sulla società che si occupa della compravendita di imbarcazioni di lusso: un mese fa fu proprio uno dei finanzieri poi finito tra gli indagati ad arrivare da Bologna per perquisire la sede della Rimini Yacht. Sarebbe probabilmente riuscito a portarsi via la documentazione se il magistrato riminese Davide Ercolani non avesse fatto scattare a sua volta il sequestro, ottenendo di fatto che il fascicolo rimanesse a Rimini.
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