L'unico punto certo, nel caos siriano, è il periodo di evidente difficoltà che sta vivendo lo Stato Islamico, che recentemente ha perso – in uno strike aereo rivendicato dai russi - anche il portavoce al-Adnani. Dopo il deciso intervento di Mosca, di alcuni mesi fa, quella che appariva una progressione inarrestabile, del DAESH, si è tramutata in una serie di rovesci, perdite di territorio e di località di alto valore simbolico come Palmira. Per ottenere queste vittorie, tuttavia, l'esercito siriano – spalleggiato da hezbollah e da milizie sciite – ha pagato un alto tributo di sangue, ed ora si trova impegnato nella decisiva battaglia di Aleppo, ad organici ridotti. A questo punto i nemici più agguerriti e dinamici sembrano i miliziani di Jabath al-Nusra; la formazione ha recentemente cambiato nome: un'operazione di maquillage per rendere meno indigesto, specie all'opinione pubblica occidentale, quello che resta pur sempre il ramo siriano di al-Qaeda. Sono stati loro, giorni fa, a rompere l'accerchiamento nella zona a sud-ovest di Aleppo: una breccia tuttavia inservibile, per i jihadisti, a causa della decisa risposta dei governativi. Situazione di stallo che sta provocando gravi sofferenze ai civili, specie a coloro che non sono riusciti a fuggire – attraverso i corridoi umanitari - dalla zona della città ancora controllata dalle forze ostili ad Assad. Estremamente confusa, infine, la situazione nel nord del Paese, dove la Turchia ha negato una tregua con i curdi e insiste affinché si spostino immediatamente ad ovest dell'Eufrate. Il conflitto, insomma, sembra destinato a durare ancora a lungo; con alleanze quantomai mutevoli ed enormi interessi geopolitici in ballo. Una Dayton siriana – al momento - appare ben lungi dall'essere realizzata
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