Mentre la terra continua a tremare si fissano i simboli di un’Emilia spaccata. La torre dell’orologio in piedi a metà, e a pochi passi la Rocca estense di Finale; i luoghi della morte nella fabbrica dei turnisti della domenica, a Sant’Agostino, e sulla strada che unisce i luoghi della tragedia la chiesa di Buonacompra, aperta dalla terra al cielo.
Ma ci sono simboli più nascosti, il silenzio dei luoghi e nei volti, il pensiero fisso a quell’istante, la prima scossa. Una mamma protegge la sua bambina mentre entra nel centro di prima accoglienza allestito al Pala Reno di Sant’Agostino, un’altra abbraccia le figlie adolescenti, sconvolte da una cosa mai provata prima. E poi bambini ignari, che vogliono continuare a giocare nella nuova casa degli sfollati.
E la gente si riversa in strada e la sceglie come unica dimora sicura.
Ci indicano dove andare, che cosa vedere per documentare quello che non c’è più. Nella chiesa di San Pietro e Paolo di Mirabello non c’è più il timpano della facciata, ma è nel retro che un volontario insiste per portarci, a dispetto delle transenne che vogliono isolare, accanto al pericolo reale di nuovi crolli, i segni materiali di una città sconvolta. Qui si lavora dall’alba: il proprietario di una ditta di escavazioni ha chiamato a raccolta il figlio e tutti i dipendenti. Volontari, poi, ai punti informativi: registrano le segnalazioni dei danni nelle case; altri nelle tende da campo, sulla strada di Finale, prestano i primi soccorsi. Volontari di un’Emilia in ginocchio, quella che con coraggio ha già voglia di ricostruire.
Annamaria Sirotti
Ma ci sono simboli più nascosti, il silenzio dei luoghi e nei volti, il pensiero fisso a quell’istante, la prima scossa. Una mamma protegge la sua bambina mentre entra nel centro di prima accoglienza allestito al Pala Reno di Sant’Agostino, un’altra abbraccia le figlie adolescenti, sconvolte da una cosa mai provata prima. E poi bambini ignari, che vogliono continuare a giocare nella nuova casa degli sfollati.
E la gente si riversa in strada e la sceglie come unica dimora sicura.
Ci indicano dove andare, che cosa vedere per documentare quello che non c’è più. Nella chiesa di San Pietro e Paolo di Mirabello non c’è più il timpano della facciata, ma è nel retro che un volontario insiste per portarci, a dispetto delle transenne che vogliono isolare, accanto al pericolo reale di nuovi crolli, i segni materiali di una città sconvolta. Qui si lavora dall’alba: il proprietario di una ditta di escavazioni ha chiamato a raccolta il figlio e tutti i dipendenti. Volontari, poi, ai punti informativi: registrano le segnalazioni dei danni nelle case; altri nelle tende da campo, sulla strada di Finale, prestano i primi soccorsi. Volontari di un’Emilia in ginocchio, quella che con coraggio ha già voglia di ricostruire.
Annamaria Sirotti
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