La crisi demografica è ormai un'emergenza che non può essere risolta con un semplice decreto. La tendenza al calo delle nascite è un fenomeno ormai consolidato in tutto l’Occidente, ma le cause profonde sono molteplici e complesse. Mentre l’opposizione spesso accusa i governi di non fare abbastanza, questo problema richiede politiche di lungo periodo e un cambiamento radicale di visione. La storia dimostra come i periodi di incertezza e difficoltà economica portino spesso a riduzioni delle nascite, poiché le famiglie rimandano decisioni importanti in attesa di condizioni più stabili. E oggi, più che mai, l’instabilità è tangibile in ogni aspetto della vita economica e sociale. Da quasi due decenni affrontiamo una crisi economica che si è progressivamente aggravata e consolidata. Molte delle difficoltà attuali trovano le loro radici nella crisi finanziaria del 2008, che ha generato una serie di ripercussioni a catena, innescando una profonda trasformazione del sistema economico globale. A questa crisi si aggiunge un contesto politico europeo che, anziché concentrarsi su politiche sociali ed economiche costruttive, si è orientato verso il sostegno a conflitti esteri che potevano essere evitati o risolti diplomaticamente. Il risultato è un crescente investimento nell’industria bellica, scelta che distoglie risorse dalle necessità interne, come il supporto alle famiglie e la creazione di un tessuto sociale e produttivo stabile. Culturalmente, stiamo vivendo un cambiamento epocale che vede l’individuo al centro, a scapito della famiglia come nucleo fondante della società. La realizzazione personale viene sempre più spesso associata al successo economico, e questo diventa il metro principale per valutare il valore di una persona. I media, attraverso pubblicità e produzioni cinematografiche, enfatizzano uno stile di vita in cui la famiglia tradizionale è meno valorizzata rispetto al passato. L’immagine della famiglia numerosa è quasi scomparsa, sostituita da rappresentazioni di individui single o di famiglie con un solo figlio. Emblematico è il modo in cui si parla di crisi demografica: gli articoli che trattano questo argomento spesso vengono affiancati da analisi sui costi proibitivi di crescere un figlio, creando una narrativa che scoraggia ulteriormente la scelta di avere più figli. Anche la casa, che un tempo era un bene accessibile e considerato il rifugio primario, è diventata per molti un obiettivo irraggiungibile. L’ideale della casa propria si è trasformato in uno status symbol, in cui l’aspetto e la posizione contano più della funzione essenziale. Inoltre, con l’aumento delle incertezze economiche, il mercato immobiliare ha visto un’impennata nei prezzi, spinto dal valore percepito della casa come “bene rifugio”. Questo fenomeno rende ancora più complesso il raggiungimento dell’autonomia per i giovani, che si trovano a dover affrontare costi sempre più elevati per accedere alla proprietà. Le difficoltà economiche e sociali che abbiamo descritto non faranno che intensificarsi nei prossimi anni, poiché alla base mancano interventi concreti e soluzioni strutturali. La mancanza di reti di supporto alle famiglie è un problema rilevante: chi può prendersi cura dei bambini se entrambi i genitori lavorano? I nonni, che in passato spesso svolgevano questo ruolo, ora sono sempre più parte attiva della forza lavoro, a causa dell’aumento dell’età pensionabile. Un tempo, le grandi aziende offrivano asili interni per i figli dei dipendenti e soluzioni abitative per sostenere i giovani lavoratori, specialmente quando, tra gli anni ’50 e ’60, le giovani coppie migravano dalle campagne verso le città. Queste iniziative offrivano un senso di stabilità e sicurezza. Oggi, invece, per le famiglie è necessario non solo trovare un lavoro, ma anche trovare un contesto aziendale che offra sicurezze e condizioni favorevoli per conciliare lavoro e vita familiare. Ma anche questa sicurezza, un tempo rappresentata dalle grandi aziende, sta venendo meno. Aziende storiche come la Volkswagen stanno affrontando crisi profonde, esacerbate dalle pressioni geopolitiche, economiche e ambientali. Questa crisi sistemica è un segnale che anche le imprese considerate “stabili” possono trovarsi in difficoltà, riducendo ulteriormente le certezze per i lavoratori. A San Marino, le nostre possibilità di azione sono limitate. Essendo un piccolo Stato, non abbiamo una politica finanziaria o monetaria autonoma e subiamo in gran parte le dinamiche economiche globali. Nonostante la nostra indipendenza, non abbiamo sviluppato un vero e proprio piano strategico a lungo termine che ci consenta di navigare queste difficoltà. Il “Piano San Marino 2030” rappresenta un’occasione mancata, e forse è stato un errore non approfondire e definire meglio gli obiettivi e le strategie di questo progetto. La mancanza di un piano condiviso rende ancora più difficile affrontare le sfide che ci attendono. Infine, ci troviamo in una fase di grandi cambiamenti globali, in cui una nuova Guerra Fredda, o peggio Guerra Mondiale si profila all'orizzonte, dividendo il mondo in blocchi contrapposti. Le elezioni americane rappresentano un importante spartiacque, che potrebbe influenzare la direzione politica e sociale dell’Occidente per gli anni a venire. È fondamentale per San Marino e per i suoi cittadini pianificare con lungimiranza, stabilendo quale tipo di sistema sociale e politico desideriamo abbracciare. In questo contesto, la politica deve avere un unico obiettivo: fornire risposte chiare e concrete alle necessità dei cittadini. Abbiamo un debito importante che non può essere risolto semplicemente pagando interessi su interessi, senza promuovere una crescita reale. È necessario dare un segnale forte di sviluppo, che non solo rafforzi il Paese, ma restituisca ai cittadini quella certezza che da troppi anni manca. Solo con una visione strategica, condivisa e proiettata al futuro, potremo sperare di costruire una società più stabile e inclusiva.
C.s Lorenzo Antonini - Membro dell’Ufficio Politico di Alleanza Riformista