La questione dei crediti non performanti sarà certamente uno dei temi clou della prossima legislatura. Perché la partita, se mal gestita, potrebbe mettere in grande difficoltà il sistema finanziario, e con esso lo Stato.
La prima cosa da fare, come sempre, è ragionare sui dati.
1,9 miliardi è il valore dei crediti non performanti così come comunica l’FMI, ma i crediti veramente difficilmente inesigibili - le cosiddette sofferenze - secondo i dati di Bcsm al 31 Marzo ammontano a 626 milioni di euro.
Una cifra comunque elevata, più alta del bilancio dello Stato e pari al 17,6% del valore dei crediti, una delle percentuali più alte d’Europa. Ma una cifra sicuramente più gestibile.
C’è poi da considerare la suddivisione di questi 1,9 miliardi di crediti non performanti. Il FMI ci spiega che non c’è un settore predominante: il 36,7% sono crediti verso il settore dei servizi (ma qui ci sta la grande massa dei crediti di Carisp verso il gruppo Delta, crediti che comunque rientreranno), il 10,5% verso il settore immobiliare, il 18,6% verso il settore industriale, il 14,1% verso compagnie finanziarie, il 18,5% verso persone fisiche.
Si parla principalmente di crediti dati a soggetti esteri, più difficilmente aggredibili per ovvie ragioni. Per affrontare una mole di crediti di tipologia così diversa, non si può certo pensare che la semplice creazione di una “bad bank”, dove buttare dentro tutto quanto indistintamente, sia la soluzione giusta.
Nei giorni scorsi già altri, anche esperti del settore, hanno sottolineato come la base di tutto non possa che essere la cosiddetta Asset Quality Review, su cui pare stia spingendo la nuova governance di Bcsm. Una analisi dettagliata dei crediti, almeno quelli più grossi, crea infatti due effetti positivi:
1) consente di individuare i responsabili, eventualmente, della concessione di questi crediti “allegri” spesso senza garanzie, e di allontanarli;
2) permette di capire il vero livello di esigibilità di questi crediti e la loro tipologia, consentendo poi di venderli a veicoli finanziari specializzati nel loro recupero, a prezzi migliori di quelli che si avrebbero buttando tutto indistintamente in una “bad bank”.
Un’operazione, quindi, fondamentale a livello di sistema. Anche perché, se alla fine lo Stato dovrà intervenire per ricapitalizzare le banche (diventandone ovviamente socio per una quota congrua allo sforzo fatto) lo potrà fare solo dopo aver individuato e punito i responsabili e dopo aver fatto di tutto per recuperare il massimo possibile di questi crediti.
Non comprendiamo le resistenze su questo, se non pensando che qualcuno abbia qualcosa da nascondere, qualche responsabilità da “mascherare” dietro il colpo di spugna della bad bank.
Noi sosteniamo la trasparenza, anche su questo tema.
E, sempre per trasparenza, chiediamo a Bcsm di spiegare esattamente cosa ha intenzione di fare e come intende procedere per attuarlo. Leggere notizie su testate italiane, vedere che incarichi così delicati vengono affidati a società straniere, qualche dubbio lo crea per forza.
L’autonomia di Bcsm non può essere messa in discussione, così come però il diritto dei gruppi consigliari di sapere cosa si sta facendo.
Su questo c’è ancora molta strada da fare.
Civico10
La prima cosa da fare, come sempre, è ragionare sui dati.
1,9 miliardi è il valore dei crediti non performanti così come comunica l’FMI, ma i crediti veramente difficilmente inesigibili - le cosiddette sofferenze - secondo i dati di Bcsm al 31 Marzo ammontano a 626 milioni di euro.
Una cifra comunque elevata, più alta del bilancio dello Stato e pari al 17,6% del valore dei crediti, una delle percentuali più alte d’Europa. Ma una cifra sicuramente più gestibile.
C’è poi da considerare la suddivisione di questi 1,9 miliardi di crediti non performanti. Il FMI ci spiega che non c’è un settore predominante: il 36,7% sono crediti verso il settore dei servizi (ma qui ci sta la grande massa dei crediti di Carisp verso il gruppo Delta, crediti che comunque rientreranno), il 10,5% verso il settore immobiliare, il 18,6% verso il settore industriale, il 14,1% verso compagnie finanziarie, il 18,5% verso persone fisiche.
Si parla principalmente di crediti dati a soggetti esteri, più difficilmente aggredibili per ovvie ragioni. Per affrontare una mole di crediti di tipologia così diversa, non si può certo pensare che la semplice creazione di una “bad bank”, dove buttare dentro tutto quanto indistintamente, sia la soluzione giusta.
Nei giorni scorsi già altri, anche esperti del settore, hanno sottolineato come la base di tutto non possa che essere la cosiddetta Asset Quality Review, su cui pare stia spingendo la nuova governance di Bcsm. Una analisi dettagliata dei crediti, almeno quelli più grossi, crea infatti due effetti positivi:
1) consente di individuare i responsabili, eventualmente, della concessione di questi crediti “allegri” spesso senza garanzie, e di allontanarli;
2) permette di capire il vero livello di esigibilità di questi crediti e la loro tipologia, consentendo poi di venderli a veicoli finanziari specializzati nel loro recupero, a prezzi migliori di quelli che si avrebbero buttando tutto indistintamente in una “bad bank”.
Un’operazione, quindi, fondamentale a livello di sistema. Anche perché, se alla fine lo Stato dovrà intervenire per ricapitalizzare le banche (diventandone ovviamente socio per una quota congrua allo sforzo fatto) lo potrà fare solo dopo aver individuato e punito i responsabili e dopo aver fatto di tutto per recuperare il massimo possibile di questi crediti.
Non comprendiamo le resistenze su questo, se non pensando che qualcuno abbia qualcosa da nascondere, qualche responsabilità da “mascherare” dietro il colpo di spugna della bad bank.
Noi sosteniamo la trasparenza, anche su questo tema.
E, sempre per trasparenza, chiediamo a Bcsm di spiegare esattamente cosa ha intenzione di fare e come intende procedere per attuarlo. Leggere notizie su testate italiane, vedere che incarichi così delicati vengono affidati a società straniere, qualche dubbio lo crea per forza.
L’autonomia di Bcsm non può essere messa in discussione, così come però il diritto dei gruppi consigliari di sapere cosa si sta facendo.
Su questo c’è ancora molta strada da fare.
Civico10
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