Da quando è cominciata l’emergenza sanitaria correlata alla diffusione della COVID-19 tutti coloro che sono coinvolti nella rete di gestione dell’emergenza, e in particolare medici, infermieri, personale socio sanitario, personale di pronto soccorso, gli operatori dei dipartimenti di prevenzione e dei servizi epidemiologici, delle ambulanze, delle RSA, le forze dell’ordine e la protezione civile sono esposti a condizioni lavorative difficoltose e stressanti. I professionisti sanitari, in particolare, sono a contatto diretto con i malati ed impegnati in prima linea a fronteggiare l’epidemia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ricorda che il primo passo per tutelare la salute del personale sanitario impegnato nella gestione dell’emergenza sanitaria durante un’epidemia è l’adozione di tutti i presidi necessari alla protezione della sicurezza e la salute dei lavoratori. Le strutture sanitarie devono quindi garantire ogni misura preventiva e protettiva necessaria, rendendo disponibili i dispositivi di protezione individuale in quantità sufficiente per gli operatori sanitari o altro personale. Ma va considerato che nel corso di un’epidemia, anche quando le misure preventive e protettive siano adeguate, il personale resta esposto a un alto livello di stress sia fisico che psicologico: rischio di contrarre l’infezione e di trasmetterla ai propri familiari, sofferenza per la perdita di pazienti e colleghi, separazione spesso prolungata dalla famiglia, cambiamenti nelle pratiche e procedure di lavoro, turni massacranti, riposi non fruiti o posticipati, necessità di fornire un maggiore supporto emotivo ai pazienti in isolamento, fatica fisica legata all’utilizzo dei dispositivi di protezione. Tutti questi fattori stanno conducendo a un vero e proprio auto-isolamento nonché alla sindrome da burnout. L’USL ritiene pertanto fondamentale che, al pari di quanto previsto da varie nazioni europee, siano adottati strumenti di tutela che tengano adeguatamente conto del fondamentale contributo prestato dal personale durante queste difficili settimane. In primo luogo, l’USL ribadisce che quanto inizialmente previsto dall’art. 7, comma 1 del decreto n. 51/2020 – il quale escludeva dalla riduzione dell’indennità economica temporanea i casi di pazienti affetti da patologie specifiche accertate (quali es. oncologici o autoimmuni), ricoveri, quarantene e malattie legate al COVID-19, – risultava certamente più equo rispetto a quanto stabilito dai successivi decreti. Basti pensare al caso di un operatore sanitario che si è ammalato o ha addirittura contratto il virus lavorando durante queste settimane drammatiche, e una volta in malattia si vede decurtato il proprio stipendio del 70%. L’USL chiede pubblicamente, come già anticipato nei momenti di confronto di questi giorni con i Segretari di Stato, di rivalutare tali misure e rimodularle in un’ottica di maggiore sensibilità. Non è sufficiente essere grati solo a parole, l’USL richiede che si migliorino le norme e si rendano disponibili fondi per riconoscere le prestazioni di lavoro straordinario del personale impegnato nelle attività di contrasto al COVID-19, che si rivedano i contratti di lavoro e la condizione dei precari, che si adottino misure premianti quali riposi compensativi nonché una banca ore da poter usufruire una volta passata l‘emergenza.
Usl