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Csdl: "Qualità del lavoro: il settore privato è poco appetibile per i laureati"

26 nov 2024
Csdl: "Qualità del lavoro: il settore privato è poco appetibile per i laureati"

Lo si evince dal numero di lavoratori con titoli universitari al 31 dicembre 2023. Il dato è condizionato dalla mancata indicazione del grado di istruzione per ben il 30% circa dell'intero comparto privato. Nel settore pubblico i laureati sono passati da quasi il 30% del 2014 al 41,5% nel 2023. Anche le qualifiche degli occupati sono molto più basse nel settore privato rispetto a quello pubblico, peraltro con una marcata differenza tra i generi.

Un aspetto che non era ancora evidenziato nel dettaglio, è stato messo in luce nella introduzione del Segretario CSdL Enzo Merlini al dibattito del 14 novembre scorso presso la sala Montelupo; si tratta della qualità del lavoro, ovvero il grado di istruzione dei lavoratori ed i loro inquadramenti professionali. Merlini ha sottolineato la diversa situazione nel settore pubblico e in quello privato. In generale, le donne con titoli universitari sono in numero maggiore rispetto agli uomini. Nel settore pubblico già nel 2014 quasi il 30% di occupati era in possesso di laurea o diploma universitario; 1050 in totale, di cui 733 donne e 317 uomini. Nel 2023 siamo passati al 41,5%, ovvero a 1.513 lavoratori laureati, di cui 1.105 donne e 408 uomini. In questi 10 anni la Pubblica Amministrazione è quindi stata particolarmente ricettiva per quanto riguarda i lavoratori con titoli universitari. Nel settore privato, nel 2014 i laureati erano complessivamente 1.474, di cui 692 donne e 782 uomini. Nel 2023 sono passati a 1.681, di cui 844 donne e 837 uomini. La crescita, sia in termini percentuali che assoluti, è stata molto modesta. Sembra evincersi che il settore privato non sia particolarmente attrattivo per i laureati, oppure che le imprese hanno una minore necessità di figure con elevata scolarizzazione. Occorre tenere conto che il bollettino di statistica (che è la fonte da cui abbiamo tratto i dati) contiene una voce “non specificato”, che non consente di rilevare il grado di istruzione dei lavoratori. Nel 2023, nel settore privato sono ben 5.736 unità, pari al 31,5% dell'intera forza lavoro del comparto, mentre nel 2014 erano solo 553. Deduciamo che siano i lavoratori frontalieri, per i quali l’ufficio preposto non registra più i titoli di studio, nonostante le aziende continuino a produrre la relativa documentazione, stando alle informazioni ricevute. Riteniamo che questa prassi vada modificata, in quanto viene a mancare un elemento conoscitivo molto importante per tutte le valutazioni del caso. Il Segretario Merlini si è poi soffermato sui dati relativi agli inquadramenti professionali, che il bollettino di statistica distingue in 8 macro aree, in base ai livelli di responsabilità e qualifica. Nel settore pubblico, i 5 inquadramenti più bassi sono circa il 66%, pressoché costanti tra il 2014 ed il 2023. Per converso, quelli più elevati - costituiti dai capireparto, dai responsabili di settore e dai dirigenti - sono ben il 34%, conseguenti ai titoli di studio posseduti. In altre parole, i laureati hanno una ottima probabilità di assurgere a ruoli di responsabilità o, comunque, a ricoprire incarichi che valorizzano il percorso scolastico. Nel settore privato la situazione è molto diversa; nel 2023, le 5 categorie più basse rappresentano oltre il 90% del totale degli occupati. Anche in questo caso, il dato è pressoché costante rispetto al 2014. Pertanto i lavoratori inquadrati ai livelli superiori, come prima indicati, sono meno del 10%. Si tratta di una differenza significativa. Vero è che le imprese hanno caratteristiche molto diverse rispetto al settore pubblico; sia in quelle piccolissime, che in quelle di maggiori dimensioni, i ruoli di responsabilità sono molto più ridotti in rapporto al totale degli occupati, ma pesa anche il fatto che le aziende spesso preferiscono riconoscere altri benefit di carattere economico, piuttosto che le qualifiche corrispondenti alla professionalità dei lavoratori. Lo stesso dicasi per i soci e gli amministratori delle società che, spesso, sono inquadrati a livelli medio-bassi, anche per pagare meno imposte e contributi. Questo dimostra che, in molti casi, il possesso di titoli di studio universitari non consente di "fare carriera" nel settore privato, mentre nel settore pubblico le possibilità sono di gran lunga superiori. Nel settore privato, la differenza tra uomini e donne è significativa; se da un lato le donne inquadrate come impiegati specializzati e tecnici sono il 26% del totale delle occupate, mentre gli uomini sono il 21%, dall’altro le qualifiche più basse in assoluto sono ricoperte in misura di gran lunga maggiore dal genere femminile rispetto a quello maschile. Il 24% delle donne rientra nella categoria degli operai generici e commessi, contro il 14% degli uomini, mentre il 25% delle donne è compreso tra gli impiegati operativi, contro il 9% degli uomini. In sintesi, all’interno delle qualifiche più basse in assoluto è compreso quasi il 50% delle donne, rispetto al 23% degli uomini: più del doppio! Sorge spontanea una domanda: le donne ricoprono ruoli che richiedono minore professionalità, oppure siamo in presenza di un comportamento discriminatorio? Pur con le dovute eccezioni, riteniamo che la risposta sia la seconda. CSdL Sul sito della CSdL (www.csdl.sm) è disponibile l’insieme delle slide illustrate in occasione del dibattito del 14 novembre scorso.

C.s. CSDL





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