Non credo di avere ricette sulle scelte politiche che verranno fatte – o sono già state fatte – qui in Repubblica. Certamente mi pare che le questioni in gioco siano tante e gravi, perché il sistema politico e il benessere sociale possano realizzarsi come un incremento di positività per tutti. A patto, certamente, di non cedere su ciò che è essenziale pur di allargare il consenso. Penso però che il nostro compito, oltre al giudizio su quanto accade, per valutarne concretamente i fattori e riconoscerne l’adeguatezza a ciò che maggiormente ci preme per una società che superi la crisi nella quale stiamo vivendo, sia quello di mettere sempre a tema quanto di più caro abbiamo. In questo senso il fatto di avere sempre dato le ragioni delle nostre scelte è stato un cammino positivo per tutti, e ci ha impegnato a rispondere proprio attraverso ragioni (al punto che le poche reazioni malevole e cariche di pregiudizi si sono da sole squalificate, e non hanno grazie a Dio trovato larghi consensi). Mi è capitato di leggere queste riflessioni interessanti di un pensatore che esprime un giudizio importante e attuale, su cui vale la pena interrogarsi: «Se non c’è nulla di definitivo nella natura, nessuna struttura nei suoi prodotti che risponda a uno scopo, allora è lecito farne quel che si vuole senza per questo violare la sua integrità, perché non c’è alcuna integrità da violare in una natura concepita esclusivamente in termini di scienze naturali - una natura né creata né creatrice. Se la natura è un mero oggetto, in nessun senso un soggetto, se essa non esprime alcuna volontà creatrice, allora l’uomo rimane il solo soggetto e la sola volontà. Il mondo, dunque, dapprima oggetto della conoscenza dell’uomo, diventa l’oggetto della sua volontà, e la sua conoscenza viene messa al servizio della sua volontà, la quale, ovviamente, è volontà di potenza sulle cose. Tale volontà, una volta che l’accresciuto potere abbia superato la necessità, diventa puro e semplice desiderio, un desiderio che non ha limiti» (Hans Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, p. 263, citato da A. Socci in Il dio Mercato, la Chiesa e l’Anticristo). È qui bene indicata la parabola di una certa modernità, che partendo dalla negazione di Dio, arriva a erigere il desiderio (spesso semplicemente la voglia) come supremo criterio della convivenza e della politica. E qui si può aprire tutta la riflessione sui cosiddetti «nuovi diritti» che rischiano di generare una convivenza sociale egoista ed individualista, dove viene cancellato il diritto del più debole e si genera uno stato di intolleranza e violenza che sembra dominare nella vita comune. Ma se non se ne comprende la radice non se ne potranno trovare i rimedi, come è evidente nel dibattito pubblico di questi giorni. Basterebbe osservare la crescita dell’intolleranza e la demonizzazione dell’avversario, considerato nemico a cui togliere persino il diritto di parola, come pure le gravi e terribili offese alla religione cristiana che riempiono addirittura gli spazi pubblici. Questo penso sia il tempo di ritrovare le fondamenta della nostra civiltà sammarinese, la sua unicità preziosa considerata come un bene di cui essere fieri, la capacità di mettere a tema la laicità così come la grande visita di Papa Benedetto ci ha ricordato: «Rivolgendomi oggi a voi, mi rallegro del vostro attaccamento a questo patrimonio di valori e vi esorto a conservarlo e a valorizzarlo, perché esso è alla base della vostra identità più profonda, un’identità che chiede alle genti ed alle istituzioni sammarinesi di essere assunta in pienezza. Grazie ad essa, si può costruire una società attenta al vero bene della persona umana, alla sua dignità e libertà, e capace di salvaguardare il diritto di ogni popolo a vivere nella pace. Sono questi i capisaldi della sana laicità, all’interno della quale devono agire le istituzioni civili, nel loro costante impegno a difesa del bene comune.» Penso che si apra una stagione positiva per un lavoro comune, soprattutto educativo, che, messe finalmente da parte le pregiudiziali ideologiche laiciste e libertarie, ridia sostanza alla autentica libertà di cui andiamo giustamente fieri, e che ha nel cristianesimo il suo fondamento e bastione. Salvaguarderemo in questo modo il valore della vita, delle famiglie, del lavoro, in un contesto di autentica solidarietà e sostegno in particolare a coloro che cercano di vivere e realizzare «una società dove convivano pacificamente tradizioni, culture e religioni diverse. Separare infatti totalmente la vita pubblica da ogni valore delle tradizioni, significherebbe introdursi in una strada cieca e senza uscita» (così sempre papa Benedetto ha detto al signor Sante Canducci, Ambasciatore della Repubblica di San Marino presso la Santa Sede il 13 novembre 2008).
Comunicato stampa
Don Gabriele Mangiarotti