Siamo certamente soddisfatti della recente approvazione della cosiddetta legge a sostegno della famiglia, recentemente approvata all’unanimità (quindi anche coi nostri voti) in Commissione. Non possiamo non rilevare il ritardo con cui questa norma è arrivata in Commissione: Repubblica Futura aveva, infatti, portato il tema all’attenzione del Consiglio Grande e Generale già a metà 2020, con appositi emendamenti che prevedevano precisi criteri di azione e di indirizzo per una riforma del sistema dei sostegni alla famiglia; emendamenti poi riproposti in altre circostanze e sempre respinti, con la scusa che “serve un intervento complessivo”, che purtroppo è arrivato solo due anni dopo. La norma ha il grande merito di costituire una sorta di “testo unico” della materia, riordinando tutte le disposizioni precedentemente contenute in vari provvedimenti rendendole quindi molto più facili da consultare e conoscere. Inoltre, introduce alcune modifiche rilevanti e strumenti nuovi prima non esistenti, come il molto citato congedo di paternità (soli 10 giorni, ma meglio che niente), la possibilità di alternanza fra uomo e donna nell’ottenimento della cosidetta “aspettativa post partum” (potendo quindi condividere fra uomo e donna questi periodi di assenza dal lavoro che possono arrivare fino ai 18 mesi) ma soprattutto la possibilità di avere una serie di permessi (purtroppo in gran parte non retribuiti) per gestire momenti particolari della vita dei propri figli (come visite mediche, anche prenatali, malattie o persino i colloqui scolastici). Sono stati accolti tra l’altro diversi emendamenti, presentati anche dalle forze di opposizione, su cui si è sviluppato un ottimo dialogo e confronto per migliorare il testo di legge presentato in prima lettura. Il problema che intravediamo esula dal contenuto letterale della norma ed è più strutturale. Non è pensabile che basti una norma di questo tipo, che riordina i sostegni già esistenti e ne aggiunge, molto blandamente, altri, per modificare i trend della natalità che mostrano un calo enorme e preoccupante. È evidente che questo tipo di approccio ai sostegni familiari, che si basa sul fatto che quando nasce un figlio uno dei genitori (spesso la donna) stia a casa a prendersene cura perché i servizi pubblici sono pochi e/o poco accessibili, oppure che vengano affidati ai nonni (quando ci sono), non è più un approccio sufficiente: si tratta di modelli basati sul cosiddetto “welfare familiare”, tipico dei paesi mediterranei che, non a caso, hanno i tassi di natalità tra i più bassi d’Europa ed inoltre vedono uno dei più bassi tassi di partecipazione al lavoro delle donne (con riflessi particolarmente negativi sulla crescita economica, oltre che sui livelli salariali e la possibilità di carriera delle donne stesse). I Paesi con tassi di natalità più elevati hanno, fra le altre cose, modelli di welfare basati su servizi pubblici avanzati a misura di lavoratore/lavoratrice, che permettono di conciliare le due esigenze con (relativa) facilità. Come si può pensare, ad esempio, che una famiglia a San Marino possa conciliare lavoro e nascita di un figlio nei primissimi anni di vita, se l’asilo nido ha costi di qualche centinaio di euro ogni mese e comunque ha orari difficili da conciliare con l’attività lavorativa? Quanti possono permetterselo, senza intaccare le proprie entrate familiari? Come può un lavoratore gestire la fase successiva senza avere i nonni a disposizione, se la scuola chiude a metà pomeriggio in pieno orario di lavoro? Perché nel nostro paese non esiste un asilo nido aziendale, nemmeno nelle realtà più strutturate -salvo rare eccezioni-? Perché nessuno ha mai pensato di creare un servizio di baby nursering strutturato, che possa costituire una alternativa praticabile ad esempio nelle ore non coperte dall’attività scolastica? Si potrebbe continuare con altri esempi di servizi pubblici che renderebbero più semplice mettere al mondo dei figli. E certamente non è tutto qua, perché la precarietà lavorativa e la difficoltà di accesso alla casa (solo per fare due esempi) sono altre due problematiche molto rilevanti che ostacolano la natalità. Se si vuole davvero invertire il trend della denatalità occorre avere il coraggio e la voglia di impegnarsi nella direzione di un salto di qualità forte e innovativo, per il nostro paese, nelle misure a sostegno dei genitori. Non crediamo assolutamente che questa legge, da sola, sia una soluzione sufficiente e peraltro basterebbe guardare cosa hanno fatto tanti paesi nordici che con politiche efficaci sono riusciti a centrare l'obiettivo. Arrivare ultimi spesso ha il vantaggio di poter copiare, magari migliorando, ciò che da tempo hanno fatto altri.
Cs - Repubblica Futura