“È vero che chi vuole un bambino non si ferma davanti a un bilancio dove i conti potrebbero anche non tornare, ma le asperità non sono poche, afferma l’SG Francesca Busignani. Inoltre, potrebbero esserci problemi di Carriera e Opportunità Professiona- li. Le donne incinte potrebbero essere costrette ad affrontare discriminazioni sul lavoro, come essere escluse da opportunità di avanzamento, progetti importanti o formazione. Alcuni colleghi o datori di lavoro possono vedere la gravidanza come un osta- colo alla produttività, il che può portare a trattamenti ingiusti o emarginazione. Il fenomeno rappresenta una grossa piaga, prosegue l’SG Busignani, c’è ancora una scarsa consapevolezza ma sono 20 anni che tutti gli studi e le analisi dicono che non è solo una questione ideologica di pari opportunità ma che la presenza delle donne fa andare meglio le aziende. Oggi anche Goldman Sachs è arrivato a sostenere che la parità di genere può portare a una crescita del 22% del PIL in un Paese. Oltre a ciò, ci possono essere problemi di bilanciamento Vita-Lavoro poiché far collimare le esigenze del lavoro con quelle del- la gravidanza può essere stressante, soprattutto in contesti lavorativi particolarmente esigenti ed il rientro al lavoro dopo il parto sommato all’organizzare l'assistenza per il neonato possono essere sfide significative”. Occorre attuare politiche di sensibilizzazione e supporto per prevenire tali pratiche discriminatorie per creare un ambiente lavo- rativo più equo e inclusivo, promuovendo allo stesso tempo una maggiore partecipazione delle donne per contrastare l'inverno demografico e sostenere la crescita economica del Paese. Se ad esempio una donna che desidera come è giusto che sia, star vicino al proprio figlio, sulla base del Decreto Delegato 105 del 2022, art. 7, chiede il part time post partum e poi a poca distanza di tempo dalla precedente gravidanza, diventa di nuovo mamma, si trova a percepire, prima il 100% come congedo per gravidanze e puerperio, poi il 40% come congedo parentale fino all’anno di vita del bambino e infine un ulteriore 20% sempre come congedo parentale fino ai 18 mesi di vita del bambino, di uno stipendio già ridotto perché calcolato sul part-time. “Questo accade anche se la mamma decide di rientrare al lavoro a tempo pieno negli ultimi mesi di gravidanza prima dell’entrata nel periodo di astensione dal lavoro come congedo per gravidanza e puerperio - aggiunge il Segretario della Federa- zione Servizi e Commercio Marco Santolini. Il calcolo delle indennità, infatti, avviene retroattivamente considerando le buste paga precedenti. Gli importi vengono conteggiati sulla base di una vecchissima norma, la legge n. 42 del 1955, art. 21-23”. Il fenomeno nel mondo del lavoro è noto come child penalty, ovvero la disuguaglianza che nasce nel momento in cui la donna ha il primo figlio. Per non parlare delle mamme che un lavoro non ce l’hanno e che dunque paradossalmente addirittura, prosegue Santolini, oltre a non aver percepito uno stipendio, non percepiscono nemmeno la maternità e successivamente neanche gli assegni familiari”. Uno Stato che sostiene la maternità deve intervenire; questo non vuol dire che non si siano fatti passi avanti, ma non bastano. Auspichiamo quindi che il prossimo Esecutivo, il prossimo Segretario di Stato competente, riprenda un dialogo costruttivo con USL e non solo, per attuare campagne di sensibilizzazione e per modificare norme ormai non più al passo con i tempi.
c.s. USL