Ciò che sta accadendo è la fine di un incubo. In tanti hanno pianto di gioia, quando hanno visto arrivare in città le avanguardie del quinto corpo d'assalto, accolte dallo sventolio delle bandiere della Repubblica Araba di Siria e da poster di Assad. Per 3 anni 100.000 persone, protette dal coraggio disperato di un contingente di appena 5.000 soldati, avevano resistito – completamente isolate - all'assedio del DAESH. L'alternativa era lo sterminio: come si era ben capito, nel 2014, quando i tagliagole massacrarono oltre 400 innocenti. Quella di Deir Ezzor è stata un'epopea, per lo più ignorata dai media occidentali. L'Unione Europea, anzi, nel luglio scorso, aveva addirittura imposto sanzioni contro il generale druso Issam Zahreddine: considerato l'eroe della resistenza in questa città martire. Ma ora tutto ciò non ha importanza, perché questa vittoria – oltre al valore simbolico – ha una enorme valenza strategica: Deir Ezzor – vista l'imminente caduta di Raqqa – è l'ultimo vero bastione dell'ISIS in Medioriente; una zona, peraltro, ricca di giacimenti petroliferi. La rottura dell'assedio è il coronamento di un'avanzata inarrestabile delle forze siriane lungo l'asse Palmira-Eufrate. Decisivo il supporto aereo russo: elicotteri e cacciabombardieri, in questi giorni, hanno martellato incessantemente convogli e strutture dei miliziani islamisti. Ma non è ancora finita: sul lato est della città, oltre il fiume, i cittadini ostaggio del Califfato sarebbero più di 50.000. Potrebbero essere necessarie ancora diverse settimane di duri combattimenti, per riprendere il controllo totale di Deir Ezzor.
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