95 anni, in piedi fino alla fine. Non si è fatto uccidere dalla malattia, un tumore alla prostata, ha scelto lui. Si è buttato dal quarto piano dell’Ospedale di Roma, dov’era ricoverato. Come suo padre Tommaso, suicida nel 1946, con un colpo di pistola. Mario Monicelli amava le contraddizioni. Scopritore formidabile di talenti comici, ma pessimista nella vita; un pessimismo implacabile quello dell’ultimo grandissimo del cinema italiano. Nelle interviste era scontroso; il suo spirito caustico, il suo dire brutalmente la verità, finivano per destabilizzare il giornalista. Del resto, Monicelli, non aveva bisogno di accattivarsi le simpatie di nessuno. Per lui parlano le opere. Regista di 66 film; autore di oltre 80 sceneggiature. Fra i grandi successi degli esordi capolavori come “Guardie e ladri”, “I soliti ignoti”, “la Grande Guerra”. Era solito trasformare attori comici, come Alberto Sordi, in drammatici. Indimenticabile la sua parte in “Un borghese piccolo piccolo”: specchio tragico, senza speranza, della realtà sociale italiana. In un’intervista Monicelli aveva dichiarato di non avere paura della morte e di temere, invece, il momento in cui avrebbe smesso di lavorare. Diceva di odiare gli ospedali, le infermiere e lo spirito caritatevole delle infermiere. E’ stato coerente… fino alla fine.
Gianmarco Morosini
Gianmarco Morosini
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