10 anni fa il catastrofico naufragio che provocò la morte di 368 persone. Stessa sorte, nel corso degli anni, per migliaia di altri: inghiottiti dal Mediterraneo, in un clima di crescente indifferenza. Contro la quale ha sempre lottato Pietro Bartolo. A lungo responsabile sanitario a Lampedusa – medico della speranza e dei salvataggi, è stato definito -, poi l'impegno in politica, come europarlamentare.
Per avere i giusti strumenti e provare a cambiare le cose, ha spiegato nel dialogo con il giornalista e scrittore Sergio Barducci. Evento partecipatissimo, quello organizzato Centro Culturale Paolo VI; ed aperto da Marco Casadei: direttore dell'Istituto di Scienze Religiose di Rimini. Subito una sollecitazione: se l'essere cristiani credibili indichi una via maestra nell'affrontare una simile sfida della contemporaneità. Quella di un'umanità sofferente in viaggio.
“Persone”, non numeri, ha sottolineato Bartolo; che non condivide chi fa distinzioni fra rifugiati, migranti economici o richiedenti asilo. Tutte persone alla ricerca di un futuro migliore – a suo avviso -, e che troppo spesso muoiono in mare. Criticati gli accordi con Turchia, Libia, Tunisia, Albania; non è quella – ha rimarcato Bartolo – la giusta strada per affrontare un fenomeno iniziato nel lontano '91, quando a Lampedusa arrivarono i primi barconi. Ha poi parlato delle torture, delle violenze subite spesso da chi è in procinto di affrontare la traversata. Da qui un appello alla solidarietà, all'accoglienza, ricordando come gli stessi italiani siano stati un popolo di migranti.