La mole di credito non performante è elevata, da far tremare i polsi, come si usa dire. La preoccupazione del sistema è alta ma meno allarmistica di quanto ci si aspetterebbe. I vertici delle sei banche della Repubblica, si sono ritrovati ieri per discutere del problema più grande che attraversa l'economia finanziaria sammarinese: i Non Performing Loans, meglio noti con l'acronimo NPL.
Stando alle stime elaborate ammonterebbero ad 1 miliardo e 800 milioni di euro. Cifra astronomica per un Paese di queste dimensioni. Ma loro, i banchieri, tendono a ridimensionare il fenomeno, anche se non nascondono la loro preoccupazione. Di quel miliardo e 8, una fetta consistente, oltre la metà scrive oggi il Corriere della sera, sarebbero in pancia alla Cassa di Risparmio, legati soprattutto alla ben nota vicenda Delta. Una parte di questi, circa 650 milioni, sarebbero però già stati ristrutturati, attraverso un accordo con i creditori, come prevede l'ex articolo 182 bis, della Legge fallimentare italiana.
Certo, seppur ridimensionato, il problema resta e si conferma di grandi proporzioni. Difficili e non indolori, anche le possibili soluzioni. I vertici delle banche, non tutti però, pensano ad una possibile bad bank, vale a dire alla creazione di uno speciale veicolo attraverso il quale depurare il bilancio dalle sofferenze, affidando a lui il compito di gestire i portafogli deteriorati. Una soluzione sulla quale gli organismi europei storcono il naso, soprattutto dopo l'entrata in vigore del Bail In, anche perchè, di fatto, sarebbero i contribuenti a salvare le parti deteriorate delle banche. Altra strada percorribile sarebbe la creazione di un Fondo alternativo, sulla falsariga del Fondo Atlante, creato in Italia. In questo Fondo, in pratica finirebbero i crediti in sofferenza ma sosterrebbe le banche nella loro ricapitalizzazione. Atlante, ad esempio, utilizza il 70% della sua dotazione per gli aumenti di capitale e il 30% per le sofferenze.
Banca Centrale, dal canto suo, chiede prima una ricognizione della qualità dei crediti, spingendo poi per una ricapitalizzazione . Da valutare, però, c'è la capacità delle banche di aumentare il proprio capitale o di attrarre investitori capaci di farlo. Considerati i tempi, e la tendenza generale anche europea, non sembra ci siano le condizioni per essere ottimisti su questo punto. Il sistema sammarinese però, necessita anche di una vera e propria operazione strutturale, in grado di rivedere l'assetto dell'intero settore, magari andando verso la strada dell'accorpamento e del consolidamento delle banche, che da sei potrebbero ulteriormente ridursi come numero. Lo pensano in tanti ma nessuno lo dice apertamente. E qui entra in gioco la politica, che deve saper guidare e orientare un possibile riassetto, e nello stato di piena crisi in cui si trova, diventa difficile immaginare lo possa fare in tempi rapidi.
Stando alle stime elaborate ammonterebbero ad 1 miliardo e 800 milioni di euro. Cifra astronomica per un Paese di queste dimensioni. Ma loro, i banchieri, tendono a ridimensionare il fenomeno, anche se non nascondono la loro preoccupazione. Di quel miliardo e 8, una fetta consistente, oltre la metà scrive oggi il Corriere della sera, sarebbero in pancia alla Cassa di Risparmio, legati soprattutto alla ben nota vicenda Delta. Una parte di questi, circa 650 milioni, sarebbero però già stati ristrutturati, attraverso un accordo con i creditori, come prevede l'ex articolo 182 bis, della Legge fallimentare italiana.
Certo, seppur ridimensionato, il problema resta e si conferma di grandi proporzioni. Difficili e non indolori, anche le possibili soluzioni. I vertici delle banche, non tutti però, pensano ad una possibile bad bank, vale a dire alla creazione di uno speciale veicolo attraverso il quale depurare il bilancio dalle sofferenze, affidando a lui il compito di gestire i portafogli deteriorati. Una soluzione sulla quale gli organismi europei storcono il naso, soprattutto dopo l'entrata in vigore del Bail In, anche perchè, di fatto, sarebbero i contribuenti a salvare le parti deteriorate delle banche. Altra strada percorribile sarebbe la creazione di un Fondo alternativo, sulla falsariga del Fondo Atlante, creato in Italia. In questo Fondo, in pratica finirebbero i crediti in sofferenza ma sosterrebbe le banche nella loro ricapitalizzazione. Atlante, ad esempio, utilizza il 70% della sua dotazione per gli aumenti di capitale e il 30% per le sofferenze.
Banca Centrale, dal canto suo, chiede prima una ricognizione della qualità dei crediti, spingendo poi per una ricapitalizzazione . Da valutare, però, c'è la capacità delle banche di aumentare il proprio capitale o di attrarre investitori capaci di farlo. Considerati i tempi, e la tendenza generale anche europea, non sembra ci siano le condizioni per essere ottimisti su questo punto. Il sistema sammarinese però, necessita anche di una vera e propria operazione strutturale, in grado di rivedere l'assetto dell'intero settore, magari andando verso la strada dell'accorpamento e del consolidamento delle banche, che da sei potrebbero ulteriormente ridursi come numero. Lo pensano in tanti ma nessuno lo dice apertamente. E qui entra in gioco la politica, che deve saper guidare e orientare un possibile riassetto, e nello stato di piena crisi in cui si trova, diventa difficile immaginare lo possa fare in tempi rapidi.
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