La presunta molestia a una collega sul posto di lavoro non è un motivo di licenziamento per giusta causa. E' quanto emerge da una sentenza del Tribunale di Rimini - vergata dal giudice del Lavoro, Lucio Ardigò - che ha imposto all'azienda il reintegro del dipendente. L'uomo, come riportano i quotidiani locali, avrebbe molestato una collega sul posto di lavoro, lei aveva fatto ricorso all'ufficio risorse umane e l'azienda, per quei fatti avvenuti in un cantiere navale nel Riminese, aveva licenziato il dipendente in tronco. Nel dettaglio la vicenda è andata di recente a sentenza ed ha coinvolto un operaio specializzato, un riminese di 50 anni, che dal 1992 al licenziamento avvenuto quest'anno ha lavorato ininterrottamente per lo stesso datore di lavoro.
Negli ultimi 32 anni, l'operaio ha svolto regolarmente i propri compiti in un settore altamente specializzato come la nautica di diporto. Difeso dagli avvocati Paolo Lombardini e Filippo Gennari del Foro di Rimini ha presentato ricorso contro il licenziamento impugnando l'atto davanti al Tribunale Civile, giudice del lavoro di Rimini. Il giudice ha quindi definito la controversia a favore dell'operaio e nelle motivazioni con cui ha annullato il licenziamento ne ha spiegato il perché. "La datrice di lavoro non ha infatti assolto l'onere che le spettava ex art. 5 della legge n. 004 del 1966 di provare, cioè, la sussistenza della giusta causa di licenziamento del ricorrente". Probabilmente, nonostante l'indagine interna sulla molestia questa non aveva raggiunto la certezza della prova e quindi non era stata provata la giusta causa di licenziamento.
"Va dunque dichiarata l'illegittimità del licenziamento", scrive il giudice. Come prevede la legge la giusta casa si può disattendere solo in caso di aziende con un numero a 15 dipendenti. "Risulta pacifico dagli atti - si legge in sentenza - che nell'anno precedente il licenziamento l'azienda avesse una media occupazionale che sicuramente raggiungeva e superava le 15 unità occupando sul territorio nazionale più di 60 dipendenti". Per questi motivi "la datrice di lavoro dovrà essere condannata a reintegrare l'operaio nel posto di lavoro precedentemente occupato nonché a versare allo stesso a titolo di risarcimento del danno una indennità commisurata alla retribuzione globale dal giorno del licenziamento sino quello della effettiva reintegrazione oltre al versamento dei contributi previdenziali".