“Vittoria storica” - secondo i commentatori -, che potrebbe contribuire ad una ridefinizione degli equilibri globali; e che certo impatterà sulla traiettoria dell'America Latina. Sempre più sganciata – almeno in apparenza - dalla Dottrina Monroe; come testimonierebbe l'elezione di una serie di leader interpreti di varie sfumature di socialismo. Ha comunque vinto di un soffio Luiz Inacio “Lula” da Silva, in una sfida che paradossalmente ha ricordato le ultime Presidenziali statunitensi; quando tutti prevedevano un successo a valanga di Biden, e invece fu testa a testa, con una velenosa coda post-elettorale. Al ballottaggio l'ex sindacalista si è alla fine imposto su Bolsonaro con il 50,83% dei consensi: meno di 2 milioni di voti, insomma; restituendo l'immagine di un Paese spaccato.
Faglie sociali, geografiche – con l'area centro-meridionale, più ricca, favorevole all'ex capitano dell'esercito -; e anche la componente religiosa avrebbe giocato un ruolo, in questo quadro di estrema polarizzazione. Elettorato cattolico tendenzialmente dalla parte di Lula; Bolsonaro favorito dalla comunità evangelica, in impetuosa crescita e ritenuta da alcuni analisti un fattore di influenza statunitense. E poi la questione giudiziaria e gli scandali che avevano investito il Partito dei Lavoratori: tema centrale della campagna elettorale. Nei dibattiti Bolsonaro aveva accusato Lula di essere un truffatore, ricordando le accuse di corruzione. “Hanno cercato di seppellirmi vivo”, ha tuonato il nuovo Presidente, nel momento del trionfo; ricordando i 18 mesi di carcerazione.
Pacificare il Paese sarà l'obiettivo principale dal primo gennaio; quando inizierà ufficialmente il suo terzo mandato. Una vittoria – è stato detto – per l'Amazzonia depredata, per i popoli indigeni umiliati, per le fasce più povere. Strategica, poi – visti i tempi -, la questione del collocamento geopolitico. Lula fu tra i fondatori del BRICS e questo lascia intendere una visione multipolare delle relazioni internazionali. E aveva fatto discutere un'intervista rilasciata al Time, a maggio, nella quale – pur condannando la decisione di Putin di invadere l'Ucraina – attribuì responsabilità anche a Zelensky, agli Stati Uniti e all'Unione Europea.