Dopo il bombardamento aereo effettuato ieri dall'aviazione israeliana nei pressi dell’aeroporto di Damasco contro l'ennesimo carico di armi destinate a Hezbollah, e dopo che un razzo iraniano lanciato dalla Siria ha raggiunto il Golan ed è stato intercettato dal sistema antimissile, stanotte Israele ha colpito alcuni campi di addestramento iraniani e depositi di armi, uccidendo 11 soldati tra cui 4 siriani e 7 pasdaran.
Il premier israeliano Netanyahu ha dichiarato che Israele continuerà a colpire le armi e le basi iraniane in Siria fino a quando i pasdaran rimarranno nel Paese.
E l'Iran, tramite il comandante dell'Aeronautica, si è detto pronto alla guerra totale contro Israele che porterà alla sua distruzione.
La spirale di violenza fra Teheran e Gerusalemme è quanto di più annunciato si possa immaginare. Sono mesi che l’Iran si sta posizionando in Siria con lo scopo di attaccare lo Stato ebraico, e sono mesi da quando Israele ha denunciato che Hezbollah, grazie all'Iran, stava costruendo missili nel cuore di Beirut, mettendo in pericolo la popolazione civile del Libano usata come scudi umani.
Neanche la scoperta dei tunnel del terrore di Hezbollah, che si infiltravano in territorio israeliano, un vero atto di guerra, è riuscita ad attirare l'interesse di chi oggi si dichiara preoccupato della tensione crescente.
Con il lancio di ieri l’Iran ha varcato la linea rossa: l'intento era colpire i civili con un missile terra-terra contro la stazione sciistica del Monte Hermon, un centro turistico israeliano affollato di famiglie. E lo ha fatto da una postazione dove non dovevano essere presenti soldati iraniani, secondo gli impegni presi da Putin con Netanyahu.
La risposta israeliana è stata ponderata, dato che sono stati colpiti solo obiettivi militari.
L'attacco di stanotte è un avvertimento anche a Damasco, affinché la smetta di favorire il posizionamento iraniano in Siria. Se Assad continuerà a permettere ai pasdaran di usare il suo territorio, diventerà anche lui un bersaglio.
Ma l’escalation tra l'Iran e Israele non è solo la conseguenza delle mire degli ayatollah su tutta la regione; è anche il frutto di un'indifferenza generale sul pericolo iraniano per lo Stato Ebraico; una minaccia grave, alla quale Israele non può non rispondere.
Massimo Caviglia
Il premier israeliano Netanyahu ha dichiarato che Israele continuerà a colpire le armi e le basi iraniane in Siria fino a quando i pasdaran rimarranno nel Paese.
E l'Iran, tramite il comandante dell'Aeronautica, si è detto pronto alla guerra totale contro Israele che porterà alla sua distruzione.
La spirale di violenza fra Teheran e Gerusalemme è quanto di più annunciato si possa immaginare. Sono mesi che l’Iran si sta posizionando in Siria con lo scopo di attaccare lo Stato ebraico, e sono mesi da quando Israele ha denunciato che Hezbollah, grazie all'Iran, stava costruendo missili nel cuore di Beirut, mettendo in pericolo la popolazione civile del Libano usata come scudi umani.
Neanche la scoperta dei tunnel del terrore di Hezbollah, che si infiltravano in territorio israeliano, un vero atto di guerra, è riuscita ad attirare l'interesse di chi oggi si dichiara preoccupato della tensione crescente.
Con il lancio di ieri l’Iran ha varcato la linea rossa: l'intento era colpire i civili con un missile terra-terra contro la stazione sciistica del Monte Hermon, un centro turistico israeliano affollato di famiglie. E lo ha fatto da una postazione dove non dovevano essere presenti soldati iraniani, secondo gli impegni presi da Putin con Netanyahu.
La risposta israeliana è stata ponderata, dato che sono stati colpiti solo obiettivi militari.
L'attacco di stanotte è un avvertimento anche a Damasco, affinché la smetta di favorire il posizionamento iraniano in Siria. Se Assad continuerà a permettere ai pasdaran di usare il suo territorio, diventerà anche lui un bersaglio.
Ma l’escalation tra l'Iran e Israele non è solo la conseguenza delle mire degli ayatollah su tutta la regione; è anche il frutto di un'indifferenza generale sul pericolo iraniano per lo Stato Ebraico; una minaccia grave, alla quale Israele non può non rispondere.
Massimo Caviglia
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