Anche se rimangono ancora da scrutinare seicentomila schede di soldati e diplomatici che non hanno potuto votare nei seggi, la vittoria dell’ex premier Netanyahu, bloccato all’opposizione per un anno e mezzo, risulta ormai evidente con 65 seggi assegnati. La coalizione formata dal Likud, con i due partiti religiosi Shas e Agudat HaTorah, e l’estrema destra di Ben Gvir, assicurerà a Netanyahu una maggioranza stabile perché – come ha dichiarato il futuro premier – “gli elettori hanno scelto l’orgoglio nazionale, la fermezza e non la debolezza”, con riferimento al governo Lapid che non poteva attuare scelte politiche a causa della coesistenza dei partiti di centro, di destra, di sinistra e arabi, tutti con obiettivi diversi tranne quello comune di sbarazzarsi di Netanyahu. In queste elezioni la sinistra dei Laburisti e di Meretz è quasi scomparsa, i partiti arabi si sono presentati divisi, e il premier Lapid si è congratulato con l’avversario garantendo un regolare passaggio dei poteri. I veri trionfatori sono però Smotrich e Ben Gvir del Partito Sionista Religioso, che hanno puntato sui temi del nazionalismo e della sicurezza, con proposte quali la pena di morte per i terroristi e l’espulsione dei cittadini arabi “non leali allo Stato”. Smotrich aspira al ministero della Difesa e Ben Gvir agli Interni per gestire la Polizia. Ma in queste ore si sta inaspettatamente svolgendo una discussione tutta interna alla destra. Gli elettori di Netanyahu, pur felici che la maggioranza di governo non dipenda più dai voti arabi o di Lapid – ad esempio per un attacco preventivo alle centrali nucleari iraniane o ai covi dei terroristi palestinesi – si interrogano però su eventuali modifiche proposte da Ben Gvir ai diritti degli arabi israeliani, da lui considerati “fiancheggiatori dei terroristi”, posizione da cui potrebbe facilmente scaturire una guerra civile. Si vedrà a breve se Netanyahu riuscirà a mitigare l’estrema destra o se rimarrà ostaggio dei voti e delle aspirazioni politiche del suo alleato.
Massimo Caviglia