A poche settimane dall’accordo fra Israele e gli Emirati Arabi, e a pochi giorni dal “volo della pace” fra Tel Aviv e Abu Dhabi, una delegazione degli Emirati farà la prima visita ufficiale in Israele il 22 settembre, dopo la cerimonia che si terrà a Washington a metà mese, durante la quale i leader dei due Paesi firmeranno l’accordo di normalizzazione delle relazioni diplomatiche. Un accordo innanzitutto commerciale, quello raggiunto tramite la mediazione del Presidente americano Trump, ma anche militare. Oltre al blocco delle annessioni di parte della Cisgiordania, la vera contropartita di Abu Dhabi è l’implicito assenso del premier Netanyahu alla vendita dei caccia F-35 agli Emirati da parte statunitense in funzione anti iraniana, nonostante le obiezioni israeliane per la perdita del vantaggio aereo nei confronti di un Paese arabo. E benché siano molti gli argomenti sui quali consolidare le relazioni, la vera “prova del nove” giungerà quando l’alleato comune americano sarà meno presente. Comunque è già rilevante il progetto del centro multi-religioso di Abu Dhabi, detto “Casa della Famiglia Abramitica”, che includerà una sinagoga, una chiesa e una moschea.
Intanto, mentre il Re saudita Salman ha informato il Presidente Trump che non firmerà un accordo con Israele fino a quando non verrà risolta la questione palestinese, ieri il capo di Hamas, Haniyeh, si è recato in Libano per incontrare Nasrallah, guida degli Hezbollah, e ha promesso “missili su Tel Aviv”. I libanesi non hanno gradito molto il messaggio, e nei social sono apparsi commenti in cui si afferma che “il Libano ha già abbastanza problemi per avere anche Hamas” e in cui Haniyeh è stato invitato ad esternare da Gaza le sue minacce.
Massimo Caviglia