Mentre gli Stati Uniti hanno finalmente lanciato un appello per il cessate il fuoco in Yemen e per l'avvio di colloqui di pace entro un mese, la coalizione militare sunnita guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi ha inviato nei giorni scorsi altri 10.000 soldati nella città portuale di Hodeidah, punto strategico del Paese dove si stanno consumando da mesi i combattimenti contro i ribelli sciiti Houti.
Prosegue così la guerra in Yemen, con la morte di un civile ogni tre ore, secondo l'allarme lanciato dalla confederazione internazionale delle Ong Oxfam, e con il rischio, senza l'interruzione immediata dei combattimenti, della morte di oltre 14 milioni di persone stremate dalla fame. Il capo del Pentagono Jim Mattis ha dichiarato che gli Stati Uniti hanno assistito al conflitto "abbastanza a lungo", aggiungendo che l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi devono ora prepararsi per i colloqui di pace.
Sulle inattese pressioni degli Stati Uniti, che avevano finora sostenuto senza riserbo la coalizione sunnita, pesa sicuramente la morte del giornalista Jamal Khashoggi che, secondo quanto riportato dal quotidiano britannico Daily Express, stava lavorando proprio ad un'inchiesta sulla guerra in Yemen indagando sul tipo di armi utilizzate, con notizie potenzialmente compromettenti anche per Washington, principale fornitore di armamenti di Riad. Ancora una volta, in questa guerra che va avanti da quasi 4 anni, sono in gioco gli equilibri globali: all’estremità della Penisola arabica, tra il Golfo di Aden e il Mar Rosso, di fronte allo Yemen passano milioni di barili di petrolio ogni giorno e si incrociano gli interessi di tutte le potenze mediorientali, Arabia Saudita e Iran prima di tutto, e dei loro alleati internazionali.
Gli Stati Uniti chiedono adesso, a tutte le parti belligeranti, di incontrare l'inviato speciale delle Nazioni Unite Martin Griffiths in Svezia, a novembre, e di trovare una soluzione. "Dobbiamo muoverci verso uno sforzo di pace qui e ora - ha sottolineato Mattis all'Istituto di pace degli Stati Uniti a Washington -, non possiamo dire che lo faremo in futuro. Dobbiamo farlo nei prossimi 30 giorni". Una fretta inaspettata quella degli Stati Uniti che potrebbe aprire nuovi scenari in Medio Oriente, ridimensionando il ruolo dell'Arabia Saudita su diversi fronti. A partire dal conflitto arabo-israeliano, con la ricerca di un altro alleato tra i Paesi sunniti - a dimostrazione, la visita del premier israeliano Netanyahu al sultano dell'Oman – fino all'Iran, che potrebbe riacquistare maggior spazio dopo le recenti sanzioni americane.
Elisabetta Norzi
Prosegue così la guerra in Yemen, con la morte di un civile ogni tre ore, secondo l'allarme lanciato dalla confederazione internazionale delle Ong Oxfam, e con il rischio, senza l'interruzione immediata dei combattimenti, della morte di oltre 14 milioni di persone stremate dalla fame. Il capo del Pentagono Jim Mattis ha dichiarato che gli Stati Uniti hanno assistito al conflitto "abbastanza a lungo", aggiungendo che l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi devono ora prepararsi per i colloqui di pace.
Sulle inattese pressioni degli Stati Uniti, che avevano finora sostenuto senza riserbo la coalizione sunnita, pesa sicuramente la morte del giornalista Jamal Khashoggi che, secondo quanto riportato dal quotidiano britannico Daily Express, stava lavorando proprio ad un'inchiesta sulla guerra in Yemen indagando sul tipo di armi utilizzate, con notizie potenzialmente compromettenti anche per Washington, principale fornitore di armamenti di Riad. Ancora una volta, in questa guerra che va avanti da quasi 4 anni, sono in gioco gli equilibri globali: all’estremità della Penisola arabica, tra il Golfo di Aden e il Mar Rosso, di fronte allo Yemen passano milioni di barili di petrolio ogni giorno e si incrociano gli interessi di tutte le potenze mediorientali, Arabia Saudita e Iran prima di tutto, e dei loro alleati internazionali.
Gli Stati Uniti chiedono adesso, a tutte le parti belligeranti, di incontrare l'inviato speciale delle Nazioni Unite Martin Griffiths in Svezia, a novembre, e di trovare una soluzione. "Dobbiamo muoverci verso uno sforzo di pace qui e ora - ha sottolineato Mattis all'Istituto di pace degli Stati Uniti a Washington -, non possiamo dire che lo faremo in futuro. Dobbiamo farlo nei prossimi 30 giorni". Una fretta inaspettata quella degli Stati Uniti che potrebbe aprire nuovi scenari in Medio Oriente, ridimensionando il ruolo dell'Arabia Saudita su diversi fronti. A partire dal conflitto arabo-israeliano, con la ricerca di un altro alleato tra i Paesi sunniti - a dimostrazione, la visita del premier israeliano Netanyahu al sultano dell'Oman – fino all'Iran, che potrebbe riacquistare maggior spazio dopo le recenti sanzioni americane.
Elisabetta Norzi
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