L’11 giugno di 30 anni fa moriva Enrico Berlinguer, leader del Partito Comunista italiano. Durante l’ultimo comizio, tenuto a Padova il 7 giugno 1984, venne colpito da un ictus, ma continuò il suo intervento, fino alla fine.
Forse i più giovani non sanno o non ricordano chi era e che ruolo ha avuto nella storia della politica italiana e della sinistra europea. Era un uomo che guardava al futuro partendo da una lucida e oggettiva visione del presente e concentrò la sua azione politica sulle necessarie trasformazioni funzionali a quella nuova visione. Fu lui a rompere con il comunismo “reale” della Russia, rischiando di venire ucciso in Bulgaria, e fu sempre lui a concepire un progetto alternativo per l’Italia insieme ad Aldo Moro, un progetto grande e rischioso, che venne osteggiato nei modi più assurdi e criminali, che la storia ancora non ha completamente studiato e rivelato, un progetto che continua nel Partito Democratico.
La questione morale, ancora oggi purtroppo di grande attualità, era vista da Berlinguer come “questione politica prima ed essenziale, perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire.”
Gli ultimi scandali italiani dell’Expò e del Mose di Venezia evidenziano come la corruzione sia parte integrante oggi più che mai del sistema; Eugenio Scalfari ha scritto domenica scorsa in merito al fenomeno della corruzione che la differenza con il periodo di Tangentopoli (20 anni fa) sta nel fatto che all’epoca “lo scandalo consisteva almeno per il 70% in denari trafugati per finanziare i partiti e solo il 30% andava nelle tasche dei mediatori, mentre nel post tangentopoli la refurtiva finisce tutta in tasche private di intermediari che lavorano in proprio col potente di turno”.
La corruzione si combatte in tre momenti: la prevenzione, l’inchiesta e la punizione dei colpevoli. Il premier Matteo Renzi qualche giorno fa ha detto che i politici che rubano devono essere puniti non solo per corruzione, ma soprattutto per alto tradimento nei confronti dello Stato e del popolo. Sappiamo bene che la nostra piccola Repubblica non è immune da fenomeni corruttivi, anche nel caso del Mose il nome di San Marino è apparso sulle cronache di quotidiani nazionali; ogni misura preventiva va adottata dal Consiglio Grande e Generale e la Giustizia deve fare in modo approfondito e celere il suo corso contro la corruzione nel Paese.
“Elencherò in tre punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi.
Primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni.
Secondo: noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.
Terzo: noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche non funzionano più e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee?” (Enrico Berlinguer 1984)
Comunicato Stampa Psd
Forse i più giovani non sanno o non ricordano chi era e che ruolo ha avuto nella storia della politica italiana e della sinistra europea. Era un uomo che guardava al futuro partendo da una lucida e oggettiva visione del presente e concentrò la sua azione politica sulle necessarie trasformazioni funzionali a quella nuova visione. Fu lui a rompere con il comunismo “reale” della Russia, rischiando di venire ucciso in Bulgaria, e fu sempre lui a concepire un progetto alternativo per l’Italia insieme ad Aldo Moro, un progetto grande e rischioso, che venne osteggiato nei modi più assurdi e criminali, che la storia ancora non ha completamente studiato e rivelato, un progetto che continua nel Partito Democratico.
La questione morale, ancora oggi purtroppo di grande attualità, era vista da Berlinguer come “questione politica prima ed essenziale, perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire.”
Gli ultimi scandali italiani dell’Expò e del Mose di Venezia evidenziano come la corruzione sia parte integrante oggi più che mai del sistema; Eugenio Scalfari ha scritto domenica scorsa in merito al fenomeno della corruzione che la differenza con il periodo di Tangentopoli (20 anni fa) sta nel fatto che all’epoca “lo scandalo consisteva almeno per il 70% in denari trafugati per finanziare i partiti e solo il 30% andava nelle tasche dei mediatori, mentre nel post tangentopoli la refurtiva finisce tutta in tasche private di intermediari che lavorano in proprio col potente di turno”.
La corruzione si combatte in tre momenti: la prevenzione, l’inchiesta e la punizione dei colpevoli. Il premier Matteo Renzi qualche giorno fa ha detto che i politici che rubano devono essere puniti non solo per corruzione, ma soprattutto per alto tradimento nei confronti dello Stato e del popolo. Sappiamo bene che la nostra piccola Repubblica non è immune da fenomeni corruttivi, anche nel caso del Mose il nome di San Marino è apparso sulle cronache di quotidiani nazionali; ogni misura preventiva va adottata dal Consiglio Grande e Generale e la Giustizia deve fare in modo approfondito e celere il suo corso contro la corruzione nel Paese.
“Elencherò in tre punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi.
Primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni.
Secondo: noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.
Terzo: noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche non funzionano più e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee?” (Enrico Berlinguer 1984)
Comunicato Stampa Psd
Riproduzione riservata ©