Ragazzini che uccidono ragazzine per gelosia, uomini che stuprano donne, branchi di uomini inselvatichiti e famelici che braccano e violentano le carni delle donne…
Contenere il disgusto davanti alle notizie quotidiane di atti di violenza sulle donne è divenuto impossibile; sembra che la vita femminile per qualche entità biologica, che di umano non ha nulla, non abbia nessun valore, nessuna dignità: esseri, le donne, considerati non portatori di diritti fondamentali, come la vita, come il rispetto.
Il bollettino di questa guerra dei Mille Anni contro le donne non si placa: e cercare una risposta o più di una, non aiuta a sopportare il peso asfissiante di questa mattanza.
Nonostante la nostra società sia contrassegnata da un più che elevato grado di scolarizzazione, che presuppone lo stabilimento degli elementi di capacità di senso critico, di consapevolizzazione e riconoscimento dei diritti altrui, questi fenomeni odiosi non diminuiscono, al contrario, si arricchiscono di tratti animaleschi dove la sola violenza non basta: subentra l’abuso e la volontà di oltraggiare la dignità fino in fondo, fino all’azzeramento di un “altro” vissuto come diverso da se, come una minaccia al proprio potere maschile consolidato in secoli di supremazia riconosciuta molto spesso da religioni e istituzioni ancora ai giorni nostri in numerosi Paesi. Cosa possiamo fare? E’ una domanda che ogni donna o uomo si pone, quando ci si ritrova ad affrontare queste assurde notizie, quali sono le possibile azioni per limitare questo scempio protratto ai danni delle donne?
Certamente una delle possibili risposte può essere quella dell’educazione: dobbiamo essere in grado, come adulti, genitori, educatori, ecc, di comprendere il fenomeno e di illustrarlo con dovizia e rispetto delle sensibilità e all’età ai nostri bambini e bambine, non avendo paura di trattare un tabù anche in tenera età: i tabù si vincono parlandone, avendo la consapevolezza che attraverso il confronto e la conoscenza di un fenomeno, possiamo far crescere gli anticorpi giusti per attrezzare adeguatamente i nostri ragazzi a riconoscere i “segnali” della violenza, perché questi sono sempre anticipati da evidenze ben precise; dobbiamo aiutarli non solo attraverso l’esempio a casa; il solo parlare non basta; è necessario trasmettere ai nostri figli, fin da piccoli, che non possono esigere ogni cosa, che devono abituarsi a desiderare le cose, non a pretenderle, che devono costruire le relazioni con l’altro tenendo conto di ciò che egli prova, abituandoli al rispetto del sentimento altrui e non alla prevaricazione. Occorre lavorare su elementi concreti proprio perché i bambini e i ragazzi su questo gestiscono e consolidano la loro conoscenza, servono momenti di approfondimento con professionisti, visione di filmati con assistenza specialistica, visite guidate a centri antiviolenza, simulazioni, confronti approfonditi con le forze dell’ordine, drammatizzazioni teatrali, inserendo queste tematiche nel contesto scolastico, che non dovrebbe essere limitato a poche lezioni frontali, che rischiano di essere vissute dai nostri ragazzi come l’ennesima lezione scolastica. Occorre, a mio avviso, riempire di contenuti le informazioni che forniamo, facendole divenire momenti agiti di condivisione e di conoscenza, coinvolgenti e costanti, vissuti con gli amici di scuola, condizione quest’ultima che favorisce il consolidamento e la sedimentazione del materiale appreso.
Per fare tutto ciò noi adulti dobbiamo però essere disposti a fare un passaggio precedente fondamentale: dobbiamo avere la volontà di affrontare, noi per primi, queste dinamiche, affrontarle e consapevolizzarle; questo atteggiamento presuppone il riconoscere che vi sono argomenti che per cultura non devono essere messi in piazza, che la nostra società conservatrice ci vieta di affrontare apertamente il tema della violenza sulle donne; che la nostra cultura ha accettato in silenzio la violenza di genere perché l’uomo viene ancora percepito come portatore di superiorità sulla femmina, e che se a volte vola qualche schiaffo in casa non è la fine del mondo, magari pensando anche che in fondo, ce lo siamo meritato…Dobbiamo essere in grado di rompere, noi donne per prime, questo schema culturale atavico che non ci riconosce la vera parità, che è quella di appartenere alla medesima razza e di godere dei medesimi diritti originari di vita e di rispetto della dignità. Dobbiamo noi per prime fare i conti con i vecchi modelli educativi che ci pongono un gradino sotto, che per riconoscerci come donne ci vogliono sempre accoglienti, comprensive, accomodanti, silenziose, sorridenti, disponibili, sempre in ordine e che se non corrispondiamo a questi modelli siamo fuori da quello schema, passibili di riprovazione o negazione, sentimenti che per qualcuno divengono alibi di atti violenti.
Bene: noi siamo brave “persone” anche se a volte non rifacciamo il letto, se ci scordiamo di comprare il latte, se perdiamo la pazienza e alziamo la voce e non abbiamo voglia di sorridere perché la giornata è stata impossibile, se la cena è riscaldata, siamo brave “persone” se diciamo qualche “no”, se usciamo senza trucco e senza tacchi; accettiamoci per ciò che siamo: “persone” prima che donne, con pregi e difetti che dobbiamo noi per prime riconoscerci ed in quanto tali non più disposte a sopportare, negare, stare in silenzio davanti all’atto più odioso che un uomo può commettere nei confronti di una donna: usarle violenza per negarle il sacrosanto diritto al riconoscimento di essere persona. Il percorso possiamo deciderlo noi, ora!
Mimma Zavoli
Donne Cittadinanza Attiva
Contenere il disgusto davanti alle notizie quotidiane di atti di violenza sulle donne è divenuto impossibile; sembra che la vita femminile per qualche entità biologica, che di umano non ha nulla, non abbia nessun valore, nessuna dignità: esseri, le donne, considerati non portatori di diritti fondamentali, come la vita, come il rispetto.
Il bollettino di questa guerra dei Mille Anni contro le donne non si placa: e cercare una risposta o più di una, non aiuta a sopportare il peso asfissiante di questa mattanza.
Nonostante la nostra società sia contrassegnata da un più che elevato grado di scolarizzazione, che presuppone lo stabilimento degli elementi di capacità di senso critico, di consapevolizzazione e riconoscimento dei diritti altrui, questi fenomeni odiosi non diminuiscono, al contrario, si arricchiscono di tratti animaleschi dove la sola violenza non basta: subentra l’abuso e la volontà di oltraggiare la dignità fino in fondo, fino all’azzeramento di un “altro” vissuto come diverso da se, come una minaccia al proprio potere maschile consolidato in secoli di supremazia riconosciuta molto spesso da religioni e istituzioni ancora ai giorni nostri in numerosi Paesi. Cosa possiamo fare? E’ una domanda che ogni donna o uomo si pone, quando ci si ritrova ad affrontare queste assurde notizie, quali sono le possibile azioni per limitare questo scempio protratto ai danni delle donne?
Certamente una delle possibili risposte può essere quella dell’educazione: dobbiamo essere in grado, come adulti, genitori, educatori, ecc, di comprendere il fenomeno e di illustrarlo con dovizia e rispetto delle sensibilità e all’età ai nostri bambini e bambine, non avendo paura di trattare un tabù anche in tenera età: i tabù si vincono parlandone, avendo la consapevolezza che attraverso il confronto e la conoscenza di un fenomeno, possiamo far crescere gli anticorpi giusti per attrezzare adeguatamente i nostri ragazzi a riconoscere i “segnali” della violenza, perché questi sono sempre anticipati da evidenze ben precise; dobbiamo aiutarli non solo attraverso l’esempio a casa; il solo parlare non basta; è necessario trasmettere ai nostri figli, fin da piccoli, che non possono esigere ogni cosa, che devono abituarsi a desiderare le cose, non a pretenderle, che devono costruire le relazioni con l’altro tenendo conto di ciò che egli prova, abituandoli al rispetto del sentimento altrui e non alla prevaricazione. Occorre lavorare su elementi concreti proprio perché i bambini e i ragazzi su questo gestiscono e consolidano la loro conoscenza, servono momenti di approfondimento con professionisti, visione di filmati con assistenza specialistica, visite guidate a centri antiviolenza, simulazioni, confronti approfonditi con le forze dell’ordine, drammatizzazioni teatrali, inserendo queste tematiche nel contesto scolastico, che non dovrebbe essere limitato a poche lezioni frontali, che rischiano di essere vissute dai nostri ragazzi come l’ennesima lezione scolastica. Occorre, a mio avviso, riempire di contenuti le informazioni che forniamo, facendole divenire momenti agiti di condivisione e di conoscenza, coinvolgenti e costanti, vissuti con gli amici di scuola, condizione quest’ultima che favorisce il consolidamento e la sedimentazione del materiale appreso.
Per fare tutto ciò noi adulti dobbiamo però essere disposti a fare un passaggio precedente fondamentale: dobbiamo avere la volontà di affrontare, noi per primi, queste dinamiche, affrontarle e consapevolizzarle; questo atteggiamento presuppone il riconoscere che vi sono argomenti che per cultura non devono essere messi in piazza, che la nostra società conservatrice ci vieta di affrontare apertamente il tema della violenza sulle donne; che la nostra cultura ha accettato in silenzio la violenza di genere perché l’uomo viene ancora percepito come portatore di superiorità sulla femmina, e che se a volte vola qualche schiaffo in casa non è la fine del mondo, magari pensando anche che in fondo, ce lo siamo meritato…Dobbiamo essere in grado di rompere, noi donne per prime, questo schema culturale atavico che non ci riconosce la vera parità, che è quella di appartenere alla medesima razza e di godere dei medesimi diritti originari di vita e di rispetto della dignità. Dobbiamo noi per prime fare i conti con i vecchi modelli educativi che ci pongono un gradino sotto, che per riconoscerci come donne ci vogliono sempre accoglienti, comprensive, accomodanti, silenziose, sorridenti, disponibili, sempre in ordine e che se non corrispondiamo a questi modelli siamo fuori da quello schema, passibili di riprovazione o negazione, sentimenti che per qualcuno divengono alibi di atti violenti.
Bene: noi siamo brave “persone” anche se a volte non rifacciamo il letto, se ci scordiamo di comprare il latte, se perdiamo la pazienza e alziamo la voce e non abbiamo voglia di sorridere perché la giornata è stata impossibile, se la cena è riscaldata, siamo brave “persone” se diciamo qualche “no”, se usciamo senza trucco e senza tacchi; accettiamoci per ciò che siamo: “persone” prima che donne, con pregi e difetti che dobbiamo noi per prime riconoscerci ed in quanto tali non più disposte a sopportare, negare, stare in silenzio davanti all’atto più odioso che un uomo può commettere nei confronti di una donna: usarle violenza per negarle il sacrosanto diritto al riconoscimento di essere persona. Il percorso possiamo deciderlo noi, ora!
Mimma Zavoli
Donne Cittadinanza Attiva
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