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Insediamento Reggenza: il discorso dell'oratore ufficiale Dean Spielmann

1 apr 2014
Insediamento Reggenza: il discorso dell'oratore ufficiale Dean SpielmannInsediamento Reggenza: il discorso dell'oratore ufficiale Dean Spielmann
Insediamento Reggenza: il discorso dell'oratore ufficiale Dean Spielmann - A San Marino per la prima volta Dean Spielmann rivela di essere rimasto colpito dalle parole di acco...
A San Marino per la prima volta Dean Spielmann rivela di essere rimasto colpito dalle parole di accoglienza: “Benvenuti nell'antica terra della Libertà”. L'orazione, in lingua francese, insiste sulla longevità di una Repubblica che diventa fonte di rispetto e ammirazione. Abbiamo gli stessi valori - precisa – difendiamo i diritti e le libertà. Poi il presidente della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo cita San Marino come esempio di comportamento esemplare per quanto concerne l'esecuzione delle sentenze pronunciate nei suoi confronti. Ripercorre una storia lunga 25 anni: come vuole il diritto internazionale gli Stati davanti alla Corte sono tutti uguali ma naturalmente la differenza di dimensioni e popolazione incide sul volume dei casi esaminai. “Con sette attualmente pendenti la Repubblica è molto lontana dall'Italia che ha presentato alla Corte più di 14mila casi su 100 mila pendenti. Anche se poco numerosi - confida Spielman,- i casi sammarinesi hanno sempre sollevato questioni spesso molto interessanti.
Si fa riferimento al caso Buscarini riguardante l'obbligo, ormai abolito, per i parlamentari sammarinesi di prestare giuramento sui vangeli. “Le autorità sammarinesi non solo hanno eseguito misure di carattere individuale, ma hanno adottato provvedimenti di natura generale per soddisfare i loro obblighi nei confronti della Convenzione europea di Diritti dell'Uomo a seguito della sentenza della Corte”. Iniziativa che viene spesso menzionata nelle sentenze relative alla libertà di coscienza e religione. San Marino infine è stato tra i primi Stati firmatari del protocollo 16, che una volta in vigore renderà la Corte organo consultivo su questioni legate all'applicazione dei diritti e della libertà definiti dalla convenzione. Ragione in più per essere lieto, conclude Speilman, di essere tra voi oggi.

Sara Bucci

Il discorso integrale:

Eccellentissimi Capitani Reggenti,
Eccellenze,
Signore e Signori,
E’ per me un grande onore partecipare oggi a questa prestigiosa cerimonia di investitura. Desidero innanzitutto congratularmi con gli Eccellentissimi Capitani Reggenti per la loro nomina. Sono molto fiero di essere stato scelto in qualità di oratore ufficiale, succedendo così ad un numero elevatissimo di eminenti personalità.
Il tema che desidero affrontare è secondo me cruciale: si tratta dell’attuazione delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, una delle sfide che deve affrontare la nostra Corte.
Mi viene spesso chiesto su cosa si basi il successo del sistema di salvaguardia dei diritti dell’uomo attuato a Strasburgo e come viene garantita la sostenibilità di tale sistema. A mio avviso, una delle ragioni è l’esistenza di un meccanismo di esecuzione particolarmente efficace per le sentenze della nostra Corte. Ciò è inoltre essenziale, poiché dalla corretta esecuzione delle sentenze dipende la credibilità e l’autorità della Corte. Il meccanismo è previsto dall’Articolo 46 della Convenzione, in base al quale, in primo luogo, le sentenze hanno forza vincolante per gli Stati difensori e, in secondo luogo, il Comitato dei Ministri ne controlla l’esecuzione. Vi è quindi una ripartizione molto netta delle responsabilità fra la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e il Comitato dei Ministri, che, con l’Assemblea Parlamentare, rappresenta uno dei due organi del Consiglio d’Europa. Una volta pronunciata una sentenza, la Corte non è più competente della sua esecuzione. E’ vero che il Protocollo n. 14 ha previsto un meccanismo in base al quale il Comitato dei Ministri può adire la Corte in caso di mancata esecuzione di una sentenza, ma fino ad oggi non ha mai fatto ricorso a tale facoltà.
In generale, l’esecuzione delle decisioni giudiziarie è un elemento cruciale di ogni sistema retto dallo Stato di Diritto. Tale considerazione vale sia per i sistemi internazionali che per i giudici nazionali e la nostra Corte, peraltro, non esita a riscontrare la violazione dei diritti garantiti dalla Convenzione in caso di mancata esecuzione delle decisioni interne.
Tuttavia le decisioni dei giudici internazionali devono rispettare un equilibrio delicato fra la competenza del giudice internazionale e la sovranità nazionale. Pertanto, la loro esecuzione non può che basarsi sulle stesse procedure applicabili internamente.
La Corte di Strasburgo non può annullare o cassare le decisioni nazionali. Non può annullare le leggi. La Corte prevede somme di denaro come risarcimento per il danno subito (che noi chiamiamo equa soddisfazione secondo la nostra terminologia), ma fortunatamente essa può spingersi oltre, impedendo misure di espulsione o di estradizione e raccomandando il rilascio di persone detenute. La scelta della modalità più appropriata di esecuzione della sentenza comprende non solo misure individuali di risarcimento nei confronti di uno o più ricorrenti, ma anche misure generali volte ad eliminare le cause delle violazioni riscontrate dalla Corte. Tale scelta deriva dal principio dell’ambito di discrezionalità degli Stati. La nostra Corte lascia al Comitato dei Ministri la facoltà di determinare le misure da applicare alla luce della violazione da essa riscontrata. Tuttavia, più spesso che in passato la Corte si trova ad indicare allo Stato difensore, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure imposte a seguito della sua sentenza.
L’esecuzione della sentenza si basa, in particolare, sul dialogo e la cooperazione, cosa che sono solito chiamare responsabilità condivisa fra i vari attori del sistema, vale a dire la Corte, il Comitato dei Ministri, i Governi, i Parlamenti e i giudici nazionali. Ciascuno di essi svolge il proprio ruolo: il Governo proponendo emendamenti alle leggi in vigore, non eseguendo una misura di espulsione o di estradizione, rilasciando una persona; i Parlamenti modificando la legge; i giudici modificando la loro giurisprudenza.
La Corte, di fronte al problema crescente dei casi “ripetitivi” derivanti da violazioni strutturali della Convenzione, ha attuato la procedura della sentenza pilota. Le principali caratteristiche di questa procedura sono ben note: nel caso in cui vi sia, a livello nazionale, un malfunzionamento strutturale o sistemico tale da generare un elevato numero di ricorsi, la Corte seleziona un caso rappresentativo che le permetta di indicare la fonte del problema in una sentenza detta pilota; essa indica le misure da adottare e, se del caso, sospende l’esame degli altri casi pendenti dinanzi alla Corte relativi allo stesso problema. La Corte può fissare, nell’ambito del meccanismo della sentenza pilota, uno specifico termine per l’adozione delle misure indicate.
Anche le autorità giudiziarie nazionali svolgono un ruolo molto importante nel sistema. Tenuto conto del carattere sussidiario della Convenzione, spetta in primo luogo alle autorità nazionali, fra cui i tribunali, assicurare il rispetto dei diritti e delle libertà garantiti dal trattato. Pertanto, anche se una sentenza in cui la Corte ha riscontrato una violazione non rende necessaria alcuna modifica della legge, è possibile che essa implichi un’evoluzione della giurisprudenza e/o delle pratiche dei giudici nazionali.
In alcuni paesi, i giudici attuano rapidamente le decisioni della Corte nella loro giurisprudenza; taluni giudici anticipano addirittura le sue future sentenze. In altri paesi, la sentenza dà luogo ad un dialogo fra le autorità nazionali e la Corte prima che venga trovata una soluzione, mentre in altri ancora si incontra una resistenza maggiore. Un esempio recente e positivo merita di essere citato.
Si tratta della sentenza Del Rio Prada, pronunciata il 21 ottobre 2013. Tale caso riguardava il rinvio della data di rilascio definitivo di una persona condannata per terrorismo. Tale rinvio è stato il risultato di una nuova giurisprudenza del Tribunale Supremo spagnolo – detta “dottrina Parot” – introdotta dopo la condanna della ricorrente. Quest’ultima era stata condannata a numerose pene detentive per aver commesso infrazioni legate ad alcuni attentati terroristici. La durata totale di queste pene era pari ad oltre 3.000 anni, ma secondo il codice penale in vigore all’epoca dei fatti, la durata della “pena da scontare” non poteva eccedere i 30 anni. Inoltre, le era stato concesso uno sconto della pena di oltre nove anni per il lavoro svolto durante la detenzione, grazie al quale sarebbe dovuta uscire nel 2008. Nel frattempo, il Tribunale spagnolo ha effettuato una revisione della giurisprudenza, riportando al 2017 la data del suo rilascio.
Dinanzi alla nostra Corte, la ricorrente lamentava, da una parte, il fatto che l’applicazione, a suo parere retroattiva, della revisione della giurisprudenza del Tribunale Supremo aveva prolungato la sua detenzione di quasi nove anni, cosa che costituiva una violazione del principio della legalità delle pene garantito dall’Articolo 7 della Convenzione. Dall’altra parte, sulla base dell’Articolo 5 § 1, essa affermava che il suo mantenimento in carcere non teneva conto delle esigenze di "regolarità" e di rispetto delle "vie legali". La nostra Corte ha ritenuto che l’applicazione della “dottrina Parot” alla situazione della ricorrente avesse privato di qualsiasi effetto utile gli sconti di pena ai quali essa si riteneva avesse diritto. Nulla lasciava presagire, al momento della pronuncia delle condanne, che il Tribunale Supremo avrebbe modificato la sua giurisprudenza nel febbraio 2006. L’applicazione di questa nuova giurisprudenza alla ricorrente aveva comportato un rinvio della sua data di rilascio di quasi nove anni. Essa ha pertanto scontato una pena detentiva di durata superiore rispetto a quella che avrebbe dovuto esserle applicata in virtù del sistema giuridico spagnolo in vigore al momento della sua condanna, tenuto conto degli sconti di pena che le erano stati concessi conformemente alla legge. Per quanto riguarda sia la legalità della pena che la regolarità della detenzione, la Corte ha pertanto ritenuto che sia stata violata la Convenzione. Inoltre, essa ha richiesto al Governo spagnolo di assicurare il rilascio della ricorrente nel più breve tempo possibile.
Il giorno stesso in cui è stata pronunciata la sentenza, il Governo spagnolo ha ricordato la natura obbligatoria delle sentenze della Corte. Il giorno successivo, la giustizia spagnola ha deliberato il rilascio della ricorrente, seguito da quello di altre persone che si trovavano nella stessa situazione. La rapidità con cui è stata eseguita tale sentenza è senza dubbio rara.
Basandosi sul principio di diritto internazionale della restitutio in integrum, la Corte ha affermato più volte che il modo più appropriato per ovviare ad una violazione è quello di ricollocare, per quanto possibile, i ricorrenti nella situazione in cui si sarebbero trovati se non si fosse violata la Convenzione. Pur ritenendo che la Convenzione non autorizzi la Corte ad ordinare ad uno Stato di riaprire un processo o di annullare una condanna, essa sottolinea tuttavia che il modo più appropriato per pervenire alla restitutio in integrum in caso di violazione dell’Articolo 6 consiste nel giudicare nuovamente il ricorrente rispettando le esigenze della Convenzione, a condizione che egli lo richieda. Se inizialmente la Corte procedeva in tal modo solo nei casi di violazione dell’Articolo 6, essa ha poi riconosciuto la possibilità di fare lo stesso in caso di violazione di altre disposizioni della Convenzione. Ne è un esempio il fatto che recentemente la Corte Suprema russa ha riaperto un procedimento e ha annullato una decisione che rifiutava la registrazione di un partito politico dopo che la Corte aveva pronunciato una sentenza in cui riscontrava una violazione dell’Articolo 11 della Convenzione. Tale approccio è stato approvato dal Comitato dei Ministri: nel 2000, esso ha incoraggiato “le Parti contraenti ad esaminare i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali allo scopo di assicurare che esistano adeguate possibilità di riesame di un caso, ivi compresa la riapertura di procedimenti, laddove la Corte abbia riscontrato una violazione della Convenzione (...)”.
Nel suo insieme, il sistema che ho descritto ha funzionato bene fino ad oggi; tuttavia, da qualche tempo, i casi di carenze strutturali profonde e di violazioni molto gravi dei diritti fondamentali sono divenuti più frequenti. Parallelamente, in un nuovo clima politico, taluni Stati, anche fra le “vecchie democrazie”, hanno cominciato a dimostrarsi sempre più restii ad accettare le decisioni della Corte su talune questioni che considerano politicamente sensibili.
A tale riguardo, ritengo sia importante sottolineare che il comportamento della Repubblica di San Marino è stato esemplare per quanto concerne l’esecuzione delle sentenze pronunciate nei suoi confronti. Permettetemi di soffermarmi un istante sui casi relativi a San Marino che sono stati portati dinanzi alla nostra Corte.
Se torniamo indietro a 25 anni fa, il 22 marzo 1989 la Repubblica di San Marino ratificava la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Gli Stati parte alla Convenzione hanno dimensioni diverse e San Marino figura, assieme ai Principati di Monaco o del Liechtenstein, fra quelli che si è soliti chiamare “i piccoli Stati”.
Detto ciò, dinanzi alla nostra Corte tutti gli Stati sono naturalmente uguali, conformemente ad una norma ben stabilita di diritto internazionale.
Naturalmente la differenza di dimensioni e di popolazione incide sul volume dei casi esaminati per un determinato Stato. Con sette casi attualmente pendenti, siete fortunatamente molto lontani dall’Italia, che ci ha presentato più di 14.000 casi sui 100.000 casi pendenti. Ma indipendentemente dal paese, ciò che non cambia è la procedura e le conseguenze delle sentenze pronunciate per lo Stato interessato.
I casi sammarinesi, anche se poco numerosi, sollevano comunque questioni spesso molto interessanti. Mi riferisco, ad esempio, al caso Buscarini riguardante l’obbligo, oramai abolito, per i parlamentari sammarinesi di prestare giuramento sui Vangeli. La sentenza Buscarini è stata pronunciata dalla Grande Camera della Corte nel 1999. E’ molto importante sottolineare che le autorità sammarinesi non solo hanno eseguito le misure di carattere individuale, ma hanno anche adottato provvedimenti di natura generale per soddisfare i loro obblighi nei confronti della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo a seguito della nostra sentenza. Quest’ultima viene spesso menzionata nelle sentenze relative alla libertà di coscienza e di religione.
Posso inoltre citare la vostra legge del 24 febbraio 2000, che ha risolto la questione relativa all’assenza di un’udienza pubblica dinanzi al giudice delle appellazioni penali, e la legge del 27 giugno 2003, che ha esplicitamente confermato la possibilità per l’imputato di essere ascoltato personalmente dal giudice, se lo desidera, durante l’udienza pubblica d’appello.
A mio avviso è importante aggiungere che, conformemente alla Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa agli Stati membri circa il riesame o la riapertura di taluni casi a livello interno a seguito delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il Parlamento di San Marino ha adottato, il 27 giugno 2003, una legge di emendamento dell’Articolo 200 del codice di procedura penale e che consente la riapertura, dinanzi ai vostri giudici, delle procedure penali in cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha riscontrato una violazione della Convenzione.
Eseguendo con diligenza le sentenze, la vostra Repubblica fornisce un esempio che dovrebbe essere seguito da tutti.
Analogamente, il 2 ottobre 2013 la Repubblica di San Marino è stata di esempio, figurando fra i primi Stati firmatari del Protocollo n. 16. Questo trattato, che entrerà in vigore una volta ratificato da 10 Stati, permetterà agli organi giudiziari supremi nazionali, se lo desiderano, di rivolgere alla Corte richieste di parere consultivo su questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione. Tali richieste verranno formulate nell’ambito dei casi pendenti dinanzi al giudice nazionale. Il parere consultivo espresso dalla nostra Corte sarà motivato e non vincolante. Come elemento supplementare del dialogo giudiziario fra la Corte e i giudici nazionali, tale parere avrà l’effetto di fornire chiarimenti ai tribunali nazionali senza per questo imporre loro alcun vincolo. Sono convinto che, se decideranno di statuire conformemente a tale parere, la loro autorità sarà rafforzata e tutti ne trarranno grande beneficio. I casi potranno così essere risolti a livello nazionale piuttosto che essere portati dinanzi alla nostra Corte, anche se le parti potranno continuare a godere di tale possibilità successivamente alla pronuncia della decisione interna definitiva.

Eccellentissimi Capitani Reggenti,
Eccellenze,
Signore e Signori,
E’ per me un immenso piacere visitare per la prima volta il vostro paese. La longevità della vostra Repubblica è fonte di rispetto e ammirazione. Entrando nel territorio di San Marino, sono rimasto particolarmente colpito dalle vostre parole di accoglienza “Benvenuti nell’antica terra della libertà”.
Da secoli la vostra è una terra di libertà e voi vi siete battuti per difenderla. La nostra Corte è molto più recente, ma ad essa è stato affidato il preciso incarico di difendere i diritti e le libertà. Abbiamo pertanto gli stessi valori ed è per tale motivo che, in questo difficile momento per l’Europa, sono particolarmente lieto di essere fra voi.
Grazie.

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