Monti vara la spending review ma deve fare i conti con i partiti e il fronte del no ai tagli

Dopo un vero e proprio braccio di ferro in un consiglio dei ministri durato fino all’una di notte, Mario Monti incassa la spending review, con tagli per 26 miliardi in tre anni spalmati in 23 articoli. Ma ora il presidente del Consiglio, che rivendica di non aver proceduto a tagli lineari della spesa, deve fare i conti con i partiti e con il fronte del no, con in prima fila gli enti locali ed i sindacati ma anche l’estrema sinistra. Particolarmente in allarme le regioni, che chiedono al presidente del Consiglio un incontro urgentissimo per attenuare i durissimi tagli nella sanità decisi dal governo, che però a questo punto è intenzionato a tirare dritto, lasciando già intendere che il decreto verrà blindato quasi sicuramente con la fiducia alla Camera ed al Senato. Se in molti apprezzano il dimezzamento delle province, che per fine anno dovranno essere ridotte a 50, il ministro della Giustizia Severino definisce come “una riforma epocale” quella delle circoscrizioni giudiziarie, con accorpamenti e riduzioni di tribunali in tutto il Paese. Ma nella maggioranza solo l’Udc di Casini sostiene “a prescindere” quella che di fatto è una nuova manovra. Tante sono le perplessità nel Pdl, ma soprattutto nel Pd, con Bersani a dire “no alla mazzata sul sistema sanitario nazionale”. Vendola parla di Decreto “ammazza Italia” e Di Pietro annuncia battaglia “fuori e dentro il Parlamento”. Intanto Maroni esordisce da segretario della Lega, e ridisegna la struttura e gli organigrammi del Carroccio del dopo Bossi. Il nostro obiettivo, spiega il successore del Senatur, è di “dettare legge a Roma”, ma soprattutto di riprendersi il nord, recuperando i consensi che sono stati persi per colpa degli scandali del cerchio magico.
Francesco Bongarrà