Rete torna a denunciare la presenza di soggetti non sammarinesi in ruoli apicali, dagli enti a partecipazione statali alla gestione di servizi. Tornano a chiedere, per gli appalti, di stabilire percentuali di favore per gli operatori del Titano, richiamando da un lato una opportunità economica e, dall'altro, l'impressione di una disaffezione dei governanti verso i cittadini, sottolineando la “frenesia” cerca investitori esteri come via per superare la crisi, mentre le attività sammarinesi chiudono per asfissia. "Contro la crisi – conclude Rete – serve Unire le piccole attività e i lavoratori dipendenti, con politiche volte alla loro tutela”.
Segue il comunicato stampa di Rete
Sempre più ruoli apicali sono in mano a non sammarinesi.
Dirigenze di quasi tutti gli enti a partecipazione statale, decine di consulenze, centinaia di appalti, gestione di servizi vengono dati a soggetti non sammarinesi.
Addirittura ruoli amministrativi alll'ISS (non abbiamo ragionieri in PA?), gestioni di fondi, perizie professionali per studi geologici e chi più ne ha più ne metta. In base a quale logica?
Non intendiamo fare un elogio campanilistico degli indigeni rispetto ai forensi (in alcuni casi l'autorevolezza di professionisti non sammarinesi è un valore aggiunto, anche noi abbiamo proposto nomine, sempre bocciate, in tal senso), ragioniamo in termini di opportunità economica: se ogni anno milioni di euro finiscono in Italia o altrove per forniture o lavori prestati alla pubblica amministrazione, a San Marino avremo società che chiudono o licenziano, e comunque perderemo imposte dirette e indirette.
Perché per gli appalti il governo non accetta i nostri consigli di stabilire percentuali di favore per gli operatori sammarinesi rispetto ai forensi?
Pare ci sia una disaffezione cieca dei governanti verso i propri concittadini: forse non li considera all'altezza, li crede poco professionali, o non capisce l'importanza di mantenere liquidità, imposte, posti di lavoro a San Marino piuttosto che continuare questa emorragia supina verso fuori. O forse facendo defluire fuori confine somme molto ingenti è più facile che di qualche denaro si perda la traccia, e finisca nelle tasche giuste.
Ma se quando servono professionalità, servizi tecnologici, promozionali, valore aggiunto si va sempre fuori, che cosa rimane a San Marino? La cenere! Rimangono attività che in assenza di lavoro non possono ammodernarsi, non possono competere, muoiono d'inedia.
A questa logica risponde anche la frenesia con cui il governo, manco fosse un procacciatore d'affari, stabilisce che l'unico modo per superare la crisi sia trovare qualche investitore estero che venga a San Marino a darci lui lavoro, soldi e felicità.
Parrà anche un approccio ragionevole, ma a ben guardare enfatizza la sfiducia, il distacco che i governanti provano verso i sammarinesi, incapaci di fare alcunché se non servire i più bravi imprenditori stranieri. Il ragionamento fallace è di porsi lo scopo di attrarre liquidità, da usare per sostentare lo stato sociale, non di creare le condizioni per rendere indipendenti i cittadini.
Stendono tappeti di defiscalizzazioni e crediti d'imposta pluriennali per chi dovesse venire a San Marino a “portare i suoi soldi”, creando posti di lavoro. Dimenticando però di dire che legittimamente chi fa impresa non lo fa per hobby, né per filantropia. Lo fa giustamente per interesse in vista di un guadagno.
Uno viene qui, per farlo deve trovare un accordo “ad personam” con i politici, poi investe i suoi soldi in cambio di sostegni all'impresa a carico dello Stato, assume dei dipendenti sammarinesi ma fino a quando rimarrà? Ovviamente finché ne avrà un vantaggio. Se le uniche basi per l'investimento sono i bassi costi (tassazione praticamente assente, costo del lavoro a carico dello Stato) e il rapporto con la politica, le basi non sono solide.
Ma nel frattempo centinaia di piccole attività sammarinesi chiudono per asfissia, e a loro nessuno pensa mai: sono troppo piccole! Le piccole attività e i lavoratori dipendenti devono pagare tutto anche per le grandi imprese che dovessero venire, ma a carico della collettività.
Viene da pensare che con questo andazzo, un domani ci troveremo con attività tenute in piedi dalle defiscalizzazioni dello Stato (cioè tenute in piedi dai nostri soldi), in mano unicamente a società forensi, che periodicamente se ne vanno lasciandoci in braghe di tela, e un popolo di sammarinesi dipendenti di padroni stranieri, in loro balia.
Urge fare chiarezza su cosa intenda il governo per rilancio dell'economia. Se è un rilancio che toglie autonomia e possibilità di fare impresa per i nostri concittadini; se pensa più al contante che al sociale; se favorisce chi sta fuori rispetto a chi sta dentro; se punisce le piccole attività con una burocrazia irrazionale e nel contempo non intende far pagare un penny ai grandi investitori (questi fantasmi...) non è la strada che serve al paese per ritrovare fede in se stesso e nelle proprie potenzialità. Che ci sono eccome, nonostante ciò che pensano, guardandoci dall'alto in basso, i figli di papà che siedono al governo.
Unire le piccole attività e i lavoratori dipendenti (pubblici e privati), e fare politiche volte alla loro tutela. E' questo che a nostro avviso serve. A chi sta fuori, penseremo poi!
Segue il comunicato stampa di Rete
Sempre più ruoli apicali sono in mano a non sammarinesi.
Dirigenze di quasi tutti gli enti a partecipazione statale, decine di consulenze, centinaia di appalti, gestione di servizi vengono dati a soggetti non sammarinesi.
Addirittura ruoli amministrativi alll'ISS (non abbiamo ragionieri in PA?), gestioni di fondi, perizie professionali per studi geologici e chi più ne ha più ne metta. In base a quale logica?
Non intendiamo fare un elogio campanilistico degli indigeni rispetto ai forensi (in alcuni casi l'autorevolezza di professionisti non sammarinesi è un valore aggiunto, anche noi abbiamo proposto nomine, sempre bocciate, in tal senso), ragioniamo in termini di opportunità economica: se ogni anno milioni di euro finiscono in Italia o altrove per forniture o lavori prestati alla pubblica amministrazione, a San Marino avremo società che chiudono o licenziano, e comunque perderemo imposte dirette e indirette.
Perché per gli appalti il governo non accetta i nostri consigli di stabilire percentuali di favore per gli operatori sammarinesi rispetto ai forensi?
Pare ci sia una disaffezione cieca dei governanti verso i propri concittadini: forse non li considera all'altezza, li crede poco professionali, o non capisce l'importanza di mantenere liquidità, imposte, posti di lavoro a San Marino piuttosto che continuare questa emorragia supina verso fuori. O forse facendo defluire fuori confine somme molto ingenti è più facile che di qualche denaro si perda la traccia, e finisca nelle tasche giuste.
Ma se quando servono professionalità, servizi tecnologici, promozionali, valore aggiunto si va sempre fuori, che cosa rimane a San Marino? La cenere! Rimangono attività che in assenza di lavoro non possono ammodernarsi, non possono competere, muoiono d'inedia.
A questa logica risponde anche la frenesia con cui il governo, manco fosse un procacciatore d'affari, stabilisce che l'unico modo per superare la crisi sia trovare qualche investitore estero che venga a San Marino a darci lui lavoro, soldi e felicità.
Parrà anche un approccio ragionevole, ma a ben guardare enfatizza la sfiducia, il distacco che i governanti provano verso i sammarinesi, incapaci di fare alcunché se non servire i più bravi imprenditori stranieri. Il ragionamento fallace è di porsi lo scopo di attrarre liquidità, da usare per sostentare lo stato sociale, non di creare le condizioni per rendere indipendenti i cittadini.
Stendono tappeti di defiscalizzazioni e crediti d'imposta pluriennali per chi dovesse venire a San Marino a “portare i suoi soldi”, creando posti di lavoro. Dimenticando però di dire che legittimamente chi fa impresa non lo fa per hobby, né per filantropia. Lo fa giustamente per interesse in vista di un guadagno.
Uno viene qui, per farlo deve trovare un accordo “ad personam” con i politici, poi investe i suoi soldi in cambio di sostegni all'impresa a carico dello Stato, assume dei dipendenti sammarinesi ma fino a quando rimarrà? Ovviamente finché ne avrà un vantaggio. Se le uniche basi per l'investimento sono i bassi costi (tassazione praticamente assente, costo del lavoro a carico dello Stato) e il rapporto con la politica, le basi non sono solide.
Ma nel frattempo centinaia di piccole attività sammarinesi chiudono per asfissia, e a loro nessuno pensa mai: sono troppo piccole! Le piccole attività e i lavoratori dipendenti devono pagare tutto anche per le grandi imprese che dovessero venire, ma a carico della collettività.
Viene da pensare che con questo andazzo, un domani ci troveremo con attività tenute in piedi dalle defiscalizzazioni dello Stato (cioè tenute in piedi dai nostri soldi), in mano unicamente a società forensi, che periodicamente se ne vanno lasciandoci in braghe di tela, e un popolo di sammarinesi dipendenti di padroni stranieri, in loro balia.
Urge fare chiarezza su cosa intenda il governo per rilancio dell'economia. Se è un rilancio che toglie autonomia e possibilità di fare impresa per i nostri concittadini; se pensa più al contante che al sociale; se favorisce chi sta fuori rispetto a chi sta dentro; se punisce le piccole attività con una burocrazia irrazionale e nel contempo non intende far pagare un penny ai grandi investitori (questi fantasmi...) non è la strada che serve al paese per ritrovare fede in se stesso e nelle proprie potenzialità. Che ci sono eccome, nonostante ciò che pensano, guardandoci dall'alto in basso, i figli di papà che siedono al governo.
Unire le piccole attività e i lavoratori dipendenti (pubblici e privati), e fare politiche volte alla loro tutela. E' questo che a nostro avviso serve. A chi sta fuori, penseremo poi!
Riproduzione riservata ©