Ha resistito a denti stretti fino al 2010 dentro un mondo che non era più suo. La spina, Edmeo, l’aveva staccata del 2002, quando il calcio clausole e plusvalenze avevano definitivamente sepolto il calcio delle strette di mano. Non c’era più posto per l’ultimo dei romantici, per chi viveva le retrocessioni come un fallimento personale e considerava la serie C come una malattia infettiva. “L’hai avuta la C?” chiedeva spesso ad amici e colleghi cambiando espressione e abbassando la voce. Quella voce che invece sovrastava anche lo speaker nelle domeniche al Manuzzi nelle sue battaglie personali contro il direttore di gara. Con Lugaresi finiva l’era delle interviste impossibili, dei pomeriggi impagabili, dei lunghi interminabili tornei di maraffone, al bar, interrotti in tempo di mercato da 100 telefonate dei giornalisti. Non c’erano conferenze, meeting, workshop. C’erano rapporti personali, epiche sclerate, offese tribali sanate dall’immancabile telefonata. “Scusa sai, ho esagerato”. E al primo incontro scattava l’abbraccio. Come con gli ultras, affrontati sotto casa petto in fuori. “E adesso se siete uomini, uno alla volta”. Gli stessi che poi lo portavano in trionfo perché infondo Edmeo era uno di loro. Se non avesse fatto il presidente avrebbe fatto il tifoso. Ma ha fatto il Presidente. Ha fatto la storia sportiva di una città che due anni dopo averlo salutato oggi deve almeno dirgli grazie.
Roberto Chiesa
Roberto Chiesa
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