Bastava avere visto Maradona per avere voglia di ballare, bastava quel talento contagioso per far pace con il mondo ed entrare al luna park. E se bastava ai tifosi di tutto il mondo, figuriamoci ai napoletani presi per mano e portati fuori dalle macerie del terremoto verso successi e trionfi mostruosamente proibiti prima di lui. Non è stato il simbolo di una città, è stata la rinascita della città. Alla quale si è concesso senza trucco. Grasso e magro, biondo e moro, rasato o ricciolo e ancora ragazzo educato e sceriffo sbruffone, pibe de oro e uomo a metà. Non sapeva nascondersi Diego, nemmeno quando strafatto e inadeguato farfugliava qualcosa da qualche angolo della vita dove era finito. È rinato tante volte fino a ieri. Quando ha spento la luce sul mondo e il sindaco De Magistris ha acceso quelle del San Paolo. Napoli grazie a lui uscita dalle tenebre non lascia Diego al buio. Su quello che ha vinto non è il caso di insistere.
Basterebbe citare il Messico, un Mondiale da solo. Era il 1986, era forse il miglior Maradona. Ce l'aveva coi potenti del mondo, amava Fidel al punto di andarsene lo stesso giorno e stava con gli ultimi. Col piede sinistro ha ridisegnata la geografia del calcio e la fisica delle traiettorie. Impossibile non volergli bene, debitori tutti come siamo di emozioni eterne. Da bambini in tv o da adulti allo stadio tutti ricordano almeno un applauso sincero fatto a Maradona. Che forse non aveva la cultura per portarsi tutto il mondo sulle spalle, ma il talento e la passione sì. Non sempre si è fidato delle persone giuste, ma a tutti ha dato. È stato in prima fila, cattiva coscienza e antidoto alle ipocrisie di un mondo che spesso se la canta e se la suona, ma non la racconta. C'è chi ancora perde tempo col giochino del "trova il più grande" tra Diego e Pelè. Mentre il calcio dovrà ripartire. Camera ardente alla Casa Rosada, Argentina in lutto per 3 giorni, il pallone, amputato, per sempre.
"Ho visto Maradona..." e tutta Napoli ballava
26 nov 2020
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