A distanza di quattro mesi nella stessa città nascono nascono due campioni. Uno si chiama Francesco Totti, farà impazzire il popolo giallorosso. L'altro si chiama Andy Selva farà gol in tutta Europa e sarà il faro del calcio del suo Paese, San Marino.
Una vita in campo per un giocatore infinito che ha cominciato a far gol a Latina (era il 1994) e ha continuato per 25 anni. E poi la Nazionale.
Mai capitano è stato più capitano, mai attaccante è stato più decisivo. L'operazione “caviglie alla patria” con la quale Andy sfondava le trincee nemiche, è stata per anni la speranza di un futuro migliore. Non c'è un compagno che non gli voglia bene, qualcuno che non si riconosca nel carisma di un ragazzo che ha sempre messo la squadra davanti a se stesso.
Gli unici personalismi, Andy, se li prendeva quando nei momenti di difficoltà chiamava palla e faceva respirare la squadra, i tifosi, il Paese. Non è mai stato uno dei tanti, quando si accorgeva di non essere il primo preferiva cambiare aria.
Ha fatto gol con 16 maglie diverse perché ai contratti importanti ha sempre preferito essere leader. E non togliersi di dosso solo il biancazzurro della Nazionale della quale è stato simbolo per più di un decennio. Quando segnava il gol della vittoria al Liectenstein, come quando c'era da difendere i compagni. Quando si infortunava e sembrava finita ed era invece una delle tante rinascite. Come nella notte di Belfast quando con il crociato saltò anche il sogno serie A. O come nel pomeriggio di Domagnano. Aveva già 40 anni e il tendine d'achille a pezzi. Ma una storia scritta in prima persona non può finir così e infatti ritorna, bionico e immortale con la sua Fiorita.
E fa basta quando lo decide lui. “Sono stato nella miglior squadra, con i migliori compagni e i migliori dirigenti”. La sua storia dice che gli amici vengono sempre prima di tutto, e conta il sentimento e non i formalismi. Lo striscione del Morgagni è l'ennesimo nuovo inizio per Andy che tornerà protagonista nel suo mondo, tra la sua gente. Preferendo pochi sinceri abbracci a tante distratte strette di mano.
Roberto Chiesa
Una vita in campo per un giocatore infinito che ha cominciato a far gol a Latina (era il 1994) e ha continuato per 25 anni. E poi la Nazionale.
Mai capitano è stato più capitano, mai attaccante è stato più decisivo. L'operazione “caviglie alla patria” con la quale Andy sfondava le trincee nemiche, è stata per anni la speranza di un futuro migliore. Non c'è un compagno che non gli voglia bene, qualcuno che non si riconosca nel carisma di un ragazzo che ha sempre messo la squadra davanti a se stesso.
Gli unici personalismi, Andy, se li prendeva quando nei momenti di difficoltà chiamava palla e faceva respirare la squadra, i tifosi, il Paese. Non è mai stato uno dei tanti, quando si accorgeva di non essere il primo preferiva cambiare aria.
Ha fatto gol con 16 maglie diverse perché ai contratti importanti ha sempre preferito essere leader. E non togliersi di dosso solo il biancazzurro della Nazionale della quale è stato simbolo per più di un decennio. Quando segnava il gol della vittoria al Liectenstein, come quando c'era da difendere i compagni. Quando si infortunava e sembrava finita ed era invece una delle tante rinascite. Come nella notte di Belfast quando con il crociato saltò anche il sogno serie A. O come nel pomeriggio di Domagnano. Aveva già 40 anni e il tendine d'achille a pezzi. Ma una storia scritta in prima persona non può finir così e infatti ritorna, bionico e immortale con la sua Fiorita.
E fa basta quando lo decide lui. “Sono stato nella miglior squadra, con i migliori compagni e i migliori dirigenti”. La sua storia dice che gli amici vengono sempre prima di tutto, e conta il sentimento e non i formalismi. Lo striscione del Morgagni è l'ennesimo nuovo inizio per Andy che tornerà protagonista nel suo mondo, tra la sua gente. Preferendo pochi sinceri abbracci a tante distratte strette di mano.
Roberto Chiesa
Riproduzione riservata ©