E' sereno l'ex patron del Credito Sammarinese, Lucio Amati, tornato libero dopo 11 mesi di carcerazione. Nella sua casa di Riccione ha trascorso gli ultimi periodi di detenzione, quando i magistrati di Catanzaro hanno concesso gli arresti domiciliari ed è lì che lo abbiamo raggiunto telefonicamente. “Nessuna dichiarazione” ha subito precisato, in osservanza alle indicazioni dei suoi legali, anche se dalle sue parole traspare tutta l'amarezza per una lunga carcerazione che ha trovato ingiustificata fin dal primo momento. Nell'ordinanza del tribunale calabrese si mette in evidenza l'insussistenza delle ragioni per proseguire nella privazione della libertà, vale a dire il rischio di fuga, di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. Frasi che per lui bruciano come il fuoco. “Perchè – ci spiega – quei rischi non esistevano fin dal 29 luglio, quando si è ordinato il mio arresto”. Amati ricorda di essere appositamente rientrato dalla Croazia, di non aver cercato rifugio nella sua San Marino, come avrebbe potuto fare, di essersi messo a disposizione della magistratura senza sfuggire alle sue responsabilità. “Non sono mai scappato in vita mia – afferma con vigore – non ho inteso farlo neppure questa volta, ma quell'arresto continuo a ritenerlo illegittimo”. Il commissariamento della banca, di fatto, gli impediva ogni accesso alle carte, e quindi il rischio di inquinare le prove, come pure di reiterare il reato, dal momento che dalla gestione dell'istituto era stato estromesso. Amati ritiene che il castello accusatorio, insieme al clamore mediatico, avessero portato ad una severità di trattamento superiore al necessario, ma oggi intende guardare avanti, impegnandosi a dimostrare quella che ha sempre professato: la sua innocenza.
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