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Diabete, un milione di italiani non sa di averlo. L'esperta: come riconoscerlo e combatterlo

L'Organizzazione Mondiale della Sanità stima che i diabetici - oggi più di 530 milioni nel mondo - aumenteranno a 640 milioni nel 2030. In prima linea, nella prevenzione ma anche nella cura, troviamo lo stile di vita.

di Silvia Fabbri
25 nov 2023
La Dottoressa Tatiana Mancini
La Dottoressa Tatiana Mancini

Il 14 novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale del Diabete, identificato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come una priorità per tutti i sistemi sanitari. Gli italiani alle prese con questa malattia sarebbero circa 4 milioni, mentre un ulteriore milione ne sarebbe affetto senza che gli sia mai stato diagnosticato. Non va meglio a livello mondiale con più di 530 milioni di adulti diabetici, numero destinato ad aumentare a 640 milioni nel 2030. Abbiamo intervistato la dottoressa Tatiana Mancini, Endocrinologa e Responsabile del Modulo di Malattie Endocrino-Metaboliche dell'UOC di Medicina Interna dell'Ospedale di Stato di San Marino per coglierne cause e sintomi, con qualche consiglio su alimentazione e attività fisica.

Dottoressa, che cos'è il diabete e da cosa è causato?

Diabete di tipo 1 e diabete di tipo 2, le varietà più note e più frequenti, sono due malattie completamente diverse dal punto di vista eziologico e patogenetico.

  • Il diabete di tipo 1 è di origine autoimmune ed è la conseguenza di una distruzione, relativamente rapida, delle cellule del pancreas che producono insulina. La distruzione è determinata da sostanze (anticorpi, citochine) prodotte dalle cellule del sistema immunitario dell’organismo probabilmente in risposta ad un virus o a uno o più tossici presenti nell’ambiente (alimenti, inquinanti ambientali, interferenti endocrini). Per questo tipo di diabete si impone la terapia con multiple iniezioni giornaliere di insulina perché in poco tempo il pancreas non la produce più (carenza assoluta di insulina). Il diabete di tipo 1 colpisce soprattutto bambini, adolescenti, giovani adulti e raramente inizia dopo i 40 anni. Esiste una variante del diabete di tipo 1 denominata LADA (Latent Autoimmune Diabetes of the Adult) in cui l’attacco autoimmune alle cellule che producono insulina è lento e meno imponente e la malattia si sviluppa nell’arco di anni, comparendo in età più avanzata rispetto al classico diabete di tipo 1, e in cui sono presenti alcune caratteristiche cliniche proprie del diabete di tipo 2 (ad esempio la possibilità di cura con farmaci orali per diverso tempo).
  • Nel diabete di tipo 2 la carenza di insulina arriva dopo una lunga storia (fino a 15 anni) di insulino-resistenza cioè di inadeguata azione dell’insulina nei diversi organi che dipende da cause genetiche ma anche ambientali ed è strettamente correlata all’incremento ponderale. L’insulino-resistenza determina l’aumento dei livelli circolanti di insulina e produce danni molecolari che sono alla base non solo delle malattie cardiovascolari ma anche delle neoplasie e dell’invecchiamento. Il diabete di tipo 2 compare solitamente dopo i 40 anni ma l’età di insorgenza si sta abbassando in maniera preoccupante per la sempre maggiore incidenza di obesità fra i giovani. È ormai noto che deficit di secrezione insulinica ed insulino-resistenza nei diabetici di tipo 2 sono variamente combinate da soggetto a soggetto rendendo necessario un approccio alla terapia del diabete sempre più personalizzato. Entrambi i difetti trovano origine in anomalie funzionali in vari organi e tessuti quali il fegato, il muscolo scheletrico, il tessuto adiposo, l’intestino, il cervello e le cellule alfa e beta delle isole pancreatiche.
  • Esiste poi una tipologia particolare di diabete, il diabete gestazionale (da non confondersi con il diabete presente prima di una gravidanza) che compare durante la gravidanza e in genere scompare dopo il parto. Le donne che hanno avuto un diabete gestazionale sono a rischio di sviluppare diabete gestazionale nelle gravidanze successive e diabete di tipo 2 nel corso della propria vita.
  • Il diabete monogenico è una varietà più rara di diabete in cui esiste un difetto genetico singolo capace di determinare iperglicemia. È un diabete che si trasmette da una generazione all’altra e compare più precocemente del diabete di tipo 2 anche se ne condivide molte caratteristiche. L’esempio tipico è il MODY (Maturity Onset Diabetes of the Young) di cui esistono molte varianti a seconda del gene coinvolto. In questa categoria rientrano anche il rarissimo diabete neonatale e altre varianti altrettanto rare.
  • Nel diabete secondario e nel diabete indotto da farmaci altre malattie o terapie determinano alterazioni della secrezione o dell’efficacia dell’insulina. Fra le malattie che possono causare diabete vanno ricordate le pancreatiti croniche, malattie rare come la fibrosi cistica e malattie endocrine che producono ormoni che agiscono in maniera opposta all’insulina (come per esempio l’ormone della crescita nell’Acromegalia oppure il cortisolo nella Sindrome di Cushing). Il diabete si sviluppa anche quando viene asportato chirurgicamente il pancreas oppure in caso di terapia prolungata con cortisone o altri farmaci immunosoppressori in persone predisposte.

Quali sono i sintomi a cui prestare attenzione?
I sintomi sono correlati alla tipologia del diabete. Il diabete di tipo 1, ad eziopatogenesi autoimmune, tipico dei bambini o giovani adulti, ha generalmente un esordio brusco con malessere, stanchezza, perdita di peso, necessità di bere (polidipsia) ed urinare (poliuria) di frequente ed odore fruttato dell’alito (tipico dell’acetone). Questi sintomi possono essere presenti anche nel diabete di tipo 2, correlato all’obesità, ma nella grande maggioranza dei casi quest’ultima forma di diabete ad esordio più tardivo non dà alcun disturbo e non è raro che venga diagnosticato in occasione di una complicanza (come un infarto oppure un’ altra problematica cardiovascolare) a dimostrazione che la malattia può essere presente da decenni senza essere stata diagnosticata. Altri possibili sintomi di esordio del diabete mellito di tipo 2 sono i disturbi genito-urinari (prurito genitale, cistiti, candidosi, etc.) oppure i disturbi visivi (in particolare visione offuscata).

Pre-diabete: un campanello d'allarme da non sottovalutare. Come intervenire a questo stadio?
Il pre-diabete è una forma intermedia fra il normale metabolismo degli zuccheri ed il diabete vero e proprio. Si calcola che colpisca negli USA 1 adulto su 3 e circa 720 milioni di persone nel mondo. Come il diabete, anche il pre-diabete si misura con vari test dello zucchero nel sangue:

  • l’emoglobina glicata (che riflette la media dello zucchero nel sangue negli ultimi 2-3 mesi) pari a 39-47 mmol/ml o 5,7-6,4 %;
  • la glicemia a digiuno (da almeno 8 ore) tra 100 e 125 mg/dl;
  • la glicemia compresa fra 140-199 mg/dl a 2 ore dal carico orale di glucosio cioè dopo aver ingerito una bevanda dolce fornita dal medico.

Le persone più a rischio sono quelle obese (sopratutto con BMI > 35), con familiarità per diabete e con un pregresso diabete gestazionale. Il pre-diabete non comporta solo un rischio di sviluppo del diabete (nell’11% dei non trattati la malattia insorge nell’arco di tre anni e nel 25% entro cinque anni) ma secondo una recente meta-analisi questa condizione disglicemica rappresenta di per se già una condizione di aumentato rischio cardiovascolare (ictus, infarto ed altre problematiche cardiache) e di morte. Esistono per fortuna delle dimostrazioni scientifiche che si possa regredire da pre-diabete a normoglicemia e/o evitare la progressione a diabete vero e proprio con un cambiamento dello stile di vita, in termini di incremento dell’esercizio fisico e di dieta equilibrata. Nessun trattamento farmacologico si è dimostrato più efficace delle modifiche nello stile di vita, nella prevenzione del diabete nei soggetti ad alto rischio.

Diabete: consigli su dieta e stile di vita
La dieta deve essere personalizzata ed è bene che la persona con il diabete si faccia valutare da un team multidisciplinare. Non esiste un’unica tipologia di dieta ma è importante che si ottenga un calo di peso del 7-10% in un po' di mesi. La dieta mediterranea ad alto contenuto di fibre e la dieta ipocalorica a basso contenuto di carboidrati sono, in generale, le diete con le maggiori evidenze scientifiche ma è necessario un approccio personalizzato seguendo le indicazione di un professionista “realmente” esperto di nutrizione.
Possiamo dare qualche suggerimento a carattere generale:

  • Utilizzare prevalentemente cereali integrali, legumi, verdura, frutta secca, semi oleosi
  • Consumare prevalentemente proteine d’origine vegetale, pesce e latticini a basso contenuto di grassi; se si desidera consumare carne, scegliere tagli magri, ed evitare la carne processata.
  • Minimizzare il consumo di cibi trasformati dall’industria, ricchi di calorie ‘vuote’, zuccheri e grassi.
  • Scegliere e preparare cibi con poco sale; usare il sale iodato per promuovere la salute tiroidea.
  • Consumare, quale condimento, olio extravergine d’oliva (con moderazione perché calorico) evitando grassi animali (burro e lardo), oli tropicali (cocco e palma) e grassi parzialmente idrogenati.
  • Relativamente all’attività fisica è consigliabile un’attività di moderata intensità (come per esempio una camminata a passo veloce) per 150 minuti/settimana cioè 20-50 minuti per tre volte la settimana incrementabili a 5 volte la settimana. Si deve iniziare con ritmi lenti ed allungare i tempi fino ad arrivare a regime con un cammino di almeno 40 minuti inserendo nel percorso anche salite e discese. Ovviamente l’esercizio fisico va modulato sulla base dell’età del paziente, del grado di allenamento e deve considerare eventuali limitazioni legate alla presenza di complicanze del diabete e dell’obesità. Infatti prima di iniziare un programma di attività le persone con diabete devono sottoporsi ad una approfondita valutazione clinica, ad un controllo glicemico e ad un completo screening delle complicanze in base alle quali vi possono essere alcune limitazioni a certi tipi di esercizio fisico.
  • Anche gli esercizi di resistenza hanno mostrato una loro efficacia non solo nel giovane ma proprio nell’anziano per il ruolo prioritario nel mantenimento dell’autonomia funzionale e nella prevenzione della cadute.
  • È infine indispensabile condividere con il diabetologo l’adeguamento della terapia in previsione dell’allenamento.





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