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Giovani e alcol, intervista a Alberto Pellai: serve una "grande rivoluzione culturale"

Preoccupano i dati sui consumi di alcolici fra i ragazzi. Ne abbiamo parlato con Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell'Università degli Studi di Milano, fra i massimi esperti in materia

di Silvia Fabbri
19 ago 2023
Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’Università degli Studi di MilanoNel video l'intervista ad Alberto Pellai
Nel video l'intervista ad Alberto Pellai

Il consumo di alcol, per vari indicatori, torna a livelli prepandemici ma il fenomeno di diffusione di bevande fra giovani e giovanissimi rimane allarmante ed elevato, con decrementi, registrati quasi sempre per gli uomini e non per le donne. Se il primo drink in Italia, oggi, può arrivare a 11 anni (secondo dati dell'Istituto Superiore di Sanità), i rischi per i ragazzi sono enormi: dalla dipendenza, a fenomeni legati alla perdita di controllo che agiscono su comportamenti sessuali problematici e incidenti alcol correlati. Come se non bastasse, le modalità di assunzione sono altrettanto preoccupanti: il fenomeno del binge drinking porta i ragazzi ad assumere grandi quantità di alcol in un unico momento della settimana, con l’intento di sballarsi e perdere il controllo, con potenziali gravi conseguenze anche per il loro corpo. Ne abbiamo parlato con Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’Università degli Studi di Milano, esperto dell’età evolutiva e autore di molti libri di parenting e psicologia, tra i quali Tutto troppo presto.

Professore, quale è il rapporto dei giovani con l’alcol e cosa questa sostanza rappresenta per loro?

L’alcol è davvero entrato nelle abitudini comportamentali dei minori: quando parliamo dei giovani dovremmo intendere gli adolescenti e i giovani adulti. I giovani adulti potrebbero avere accesso alle bevande alcoliche anche da un punto di vista legale mentre i minorenni non dovrebbero avere accesso alcuno; dovrebbe esserci una sorta di tolleranza zero nei confronti dei consumi alcolici. Quello che invece constatiamo è che c'è un’enorme diffusione del consumo di alcol, anche tra adolescenti minorenni. Il Binge drinking è un fenomeno evidente: significa che l'alcol non entra dentro allo stile di vita della quotidianità - cioè il consumo di un bicchiere di vino ai pasti - ma è un consumo che viene effettuato in ambito sociale, nei contesti in cui i ragazzi si ritrovano insieme, ed è un modo di socializzare, un modo di stare insieme. Chiaramente questo è un uso problematico, perché nel connettere la socializzazione con il consumo di alcool noi vediamo un fattore di protezione importantissima per l’età evolutiva - che è la socializzazione - che va ad associarsi a un fattore di rischio molto evidente che è il consumo di alcol. Il fatto che i ragazzi, quindi, mettano insieme ciò che a loro fa bene con ciò che loro fa male è enormemente problematico. L'alcol, tra l'altro, è poi correlato a tutta una serie di comportamenti a rischio “altri”, che vengono agiti con molta maggiore frequenza proprio quando si è dentro allo sballo alcolico: i comportamenti sessuali possono diventare promiscui, possono essere a rischio, possono essere non protetti. Proprio perché c'è tutta l'area di perdita di consapevolezza e di controllo che è associata al consumo alcolico. C'è tutto il tema degli incidenti alcol correlati, per cui mettersi alla guida in una condizione di ebbrezza alcolica - o comunque di consumo alcolico superiore a quello consentito dalla legge -, aumenta in modo evidente il rischio di incidentalità ed è chiaro che questo, per noi adulti, per noi genitori, per noi educatori, per noi docenti, per noi specialisti, rappresenta un'emergenza che negli ultimi anni è andata progressivamente crescendo. L'altro tema grande è che, in realtà, ragazzi e ragazze hanno in qualche modo imparato a normalizzare il consumo alcolico all'interno della loro comunità. Quindi è come se avessero perso la percezione del rischio del pericolo associato all'uso di questa sostanza, cosa che per noi, perciò, diventa un obiettivo primario di prevenzione.

Che responsabilità hanno la famiglia e la scuola relativamente a questo fenomeno?

Le responsabilità educative degli adulti sono notevoli. Nel senso che, i minorenni sono tali in quanto la responsabilità sul loro benessere, sulla salute, sulla loro vita, sul loro progetto educativo, è in mano al mondo adulto. Quindi gli adulti si devono fare la domanda “Che ruolo mi gioco io?” - che è esattamente la domanda che mi ha fatto lei -. Alla famiglia direi che, prima di tutto, è proprio il modellamento che gli adulti della famiglia - i genitori- danno intorno ai consumi alcolici. Un genitore che sta viaggiando con i propri figli e si ferma a fare un pranzo nel corso di un viaggio e dice ai figli: “Oggi non bevo neanche un bicchiere di vino perché sono alla guida” - e fa questa cosa ripetutamente da quando i bambini sono piccoli -, sta fornendo un modello molto virtuoso di consumo alcolico. Sta facendo vedere cosa vuol dire consumare una bevanda alcolica in un contesto di degustazione, quando lo si può fare, e allo stesso tempo come la stessa bevanda - quando entra poi in una situazione più complessa, che prevede anche la guida di un autoveicolo - automaticamente debba essere trattata in un altro modo. In generale, quello che direi alla famiglia è che è molto più quello che i figli vedono rispetto a quello che gli adulti dicono, che fa la differenza nel modellamento degli stili di vita e dei comportamenti. Contemporaneamente, invece, la scuola ha nella prevenzione dei consumi alcolici in età evolutiva un mandato educativo preventivo prioritario. Di queste cose bisogna imparare all'interno di progetti di educazione alla salute e, la cosa che serve tantissimo, è permettere ai ragazzi di discutere, di socializzare intorno a questi temi, generando delle norme sociali che sono ben diverse da quelle che vengono imposte dal mercato, dal marketing strategico delle multinazionali delle bevande alcoliche. Bensì delle norme sociali che sono basate sulla competenza, sulla consapevolezza, sulla percezione del rischio associato al consumo di bevande alcoliche in età evolutiva.

Quanto contano la società, i social network e i modelli veicolati?
Contano tantissimo perchè quello che noi abbiamo constatato nell’arco di questi decenni è che questa pandemia di consumi alcolici in età evolutiva, in realtà, è stata generata da una strategia di comunicazione di massa, da marketing diretto e indiretto investito dalle multinazionali dell'alcol che hanno saputo allearsi con un'infinità di mondi che entrano a contatto e che hanno un potere di influenzamento sociale molto forte sui nostri figli e sulle nostre figlie. C'è un connubio tra marche di bevande alcoliche ed eventi musicali, eventi sportivi che operano su tre livelli differenti. Ci sono proprio tre parole chiave che dobbiamo considerare in questo ambito: una parola è desensibilizzazione; una parola glamourizzazione; una parola normalizzazione. La prima parola, “desensibilizzazione”, è togliere l’attenzione e la sensibilità verso un comportamento che non è adeguato, non è adatto alla tua età. Se tu vedi un bambino di 8 anni che beve un bicchiere di vino immediatamente sei sensibile a quella visione. Ti sensibilizzi e dici: “Questa cosa non va bene per niente, chi glielo permette?”. Vuol dire che generare una sensibilità verso un comportamento a rischio è davvero un lavoro culturale. Vuol dire che tutto il sistema è solidale, è coerente con la percezione di che cosa è problematico e cosa non lo è. Ecco, mentre noi siamo ancora sensibili verso il consumo di alcol da parte di un bambino di 8 anni, vedere un quindicenne che beve una bevanda alcolica ci vede molto meno sensibili. Come se avessimo imparato a dire: “Ok, questa è una cosa che in realtà i ragazzi e le ragazze fanno”. Quindi aver perso - esserci desensibilizzati, nella nostra mente generale - un collegamento tra qualcosa che è problematico e la capacità ancora di vederlo e di notarlo, è la prima parte del problema. La seconda parola è glamourizzazione, cioè prendere un comportamento problematico e incorporarlo nelle abitudini, negli stili di vita, nelle immagini, nei video di personaggi che hanno un grande potere di influenzamento sociale nel mondo di chi sta crescendo. Perciò rendere quel comportamento che di per sè - per esempio la sanità pubblica - dice essere molto problematico, renderlo glamour, cioè renderlo attraente, affascinante, generarlo dentro a una comunicazione di natura seducente, che te lo fa pensare e percepire come qualcosa di molto bello molto valido. Ecco, i nostri figli si muovono in un mondo di comunicazione di media e di immagini dove l'alcol è presente dappertutto. E’ presente nelle loro serie TV, è presente nei video musicali delle loro star e loro idoli musicali preferiti, è presente nelle trame, nelle narrazioni dei film blockbuster. E’ addirittura presente dentro ai testi delle canzoni che cantano normalmente. E’ un prodotto ampiamente presente e pubblicizzato nelle stories degli influencer, che parlano davvero a ragazzini, a ragazze e adolescenti, giovani adolescenti, senza nessuna problematicità o comprensione della criticità. Questo comporta, proprio perché è un po' un sistema alla gatto e volpe di Collodi, che i nostri figli vengono trattati all'interno di queste strategie di marketing come dei Pinocchi molto maldestri, avvicinati da gatti e volpi molto molto furbi che fanno soldi alle loro spalle. La terza parola inevitabile, che consegue da “desensibilizzazione” e “glamourizzazione”, è la “normalizzazione”, che avevamo già citato prima. Cioè, ormai gli stessi genitori - a volte - sono molto convinti che la birretta al quattordicenne: “Vabbè, che problema vuoi che sia”. Così come la festa dei 15 anni sembra che debba prevedere anche che ci siano bevande alcoliche presenti. Nessun genitore percepisce che quella, invece, è un’area di confine e di limite che deve essere ancora presidiato dal mondo adulto. Perché deve essere considerato non normale che le bevande alcoliche siano presenti e pervadano gli ambiti di aggregazione, animazione e socializzazione di soggetti minorenni.

Cosa possono fare i genitori nel concreto per aiutare i loro figli a stare lontani dalle bevande alcoliche il più possibile o quantomeno a fare in modo che ne facciano un consumo più moderato evitando almeno gli eccessi?
Da una parte credo che la comunità educante, il mondo adulto, deve avere le idee chiare su tutto questo. Questo vuol dire che all'interno di ogni comunità, di ogni paese, di ogni città, gli adulti hanno le idee chiare: un minorenne non deve avere accesso alle bevande alcoliche. Mentre se sei minorenne e - ad esempio - compri una birra in un supermercato non sempre ti vengono chiesti i documenti. I luoghi di animazione, di aggregazione giovanile, dove c'è ampio accesso anche ai minorenni, di bevande alcoliche - per esempio - dovrebbero essere segnalati alle forze dell'ordine. Si deve davvero generare una cultura adulta che non è tanto la cultura del divieto, quanto la cultura della norma che protegge. Poi io credo che ci sia bisogno davvero di una sorta di grande rivoluzione culturale, dove viene ingaggiato l'influencer che parla ai ragazzi, non per dire le cose che vengono richieste a pagamento dal marketing strategico delle multinazionali dell'alcol, bensì, dove c'è un influencer ad alto impatto che si mette a disposizione dei bisogni di crescita dei ragazzi e fa un lavoro esattamente contrario. Cioè dichiara che il suo lavoro di influencer non porterà mai a casa 1 euro di sponsorizzazioni da prodotti e comportamenti che sono chiaramente e per legge non adeguati all'età dei ragazzi e delle ragazze: “Perché io, in realtà, voglio essere una persona che sostiene la vostra crescita”. Ecco, c'è davvero là fuori nel mondo - sia reale che virtuale - poca gente che ha potere di influenzamento e che riesce a rinunciare a un guadagno facile in funzione, invece, di un progetto, di una responsabilità educativa così necessaria. Credo che questa sia proprio un po’ la cultura che adesso bisogna imparare a promuovere e spero che anche dentro al mondo dell’online e dei social, invece di vedere influencer da milioni di followers che fanno pubblicità a bevande alcoliche e si fanno vedere mentre le bevono mentre le promozionano, mentre ne decantano la qualità, ci siano invece figure che mostrano una responsabilità educativa e col loro potere di influenzamento sociale raccontano ai ragazzi che a 15 anni è molto meglio la spremuta d'arancia che una bevanda alcolica.





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