E’ una notizia che fa discutere. L’ha pubblicata il Corriere di San Marino. L’ex Comandante della Gendarmeria Marcello Biagioli e il figlio Carlo, di professione avvocato, sarebbero indagati per falso ideologico, con l’accusa di avere riveduto e corretto il foglio di servizio compilato da due gendarmi per dimostrare che, nella notte in cui a Roma si mise a segno il furto da 50 miliardi nel palazzo di giustizia italiano, una pattuglia della Gendarmeria avrebbe fermato per un normale controllo stradale il principale autore della storica rapina, il romano Stefano Virgili. Una contraddizione alla quale starebbe cercando di dare risposta anche una inchiesta aperta dalla magistratura sammarinese. Ma dal Tribunale non trapela nulla. Nessuna conferma e nessuna smentita da parte dei protagonisti che abbiamo cercato invano di contattare, se non quella pubblicata dallo stesso quotidiano che precisa come, a negare la circostanza, siano i difensori dei due indagati, gli avvocati Luca Biagioli e Carlo Nannini.
Il Tribunale di Perugia ha riconosciuto Virgili colpevole della rapina. Il documento che avrebbe potuto fornirgli un alibi sarebbe stato smentito dai due gendarmi chiamati a testimoniare: oltre a negare di averlo fermato, avrebbero attribuito a qualcun altro le annotazioni contenute nel foglio di servizio di quella sera. Il magistrato avrebbe disposto una perizia calligrafica i cui risultati sarebbero attesi entro settembre. Per il colpo al caveau del palazzo di giustizia sono state condannate 7 persone. Altre 5, di cui 4 carabinieri, hanno patteggiato, ma si è ancora alla ricerca dei mandanti del colpo più inquietante, rischioso e misterioso della recente cronaca italiana. Il furto avvenne nella notte tra il 16 e il 17 luglio del '99. Quando entrarono nel caveau, dopo un anno e mezzo di sopralluoghi in uno dei santuari più blindati della capitale, i ladri avevano una lista delle cassette di sicurezza da forzare: 197 su 997, quasi 1 su 5. Quelle dei magistrati erano evidenziate con un pennarello. Cercavano soldi, gioielli, ma soprattutto documenti. Su quel colpo, la procura di Perugia ha ricostruito un complesso mosaico criminale in cui spiccano, con gli scassinatori e i carabinieri corrotti, esponenti della banda della Magliana, con legami da Cosa Nostra a pezzi delle istituzioni, l’ex terrorista nero Massimo Carminati, un cassiere di banca, un impiegato del ministero di giustizia, un avvocato massone e un collaboratore del Sisde. Massoneria e servizi segreti, come nei più intricati gialli italiani.
Il Tribunale di Perugia ha riconosciuto Virgili colpevole della rapina. Il documento che avrebbe potuto fornirgli un alibi sarebbe stato smentito dai due gendarmi chiamati a testimoniare: oltre a negare di averlo fermato, avrebbero attribuito a qualcun altro le annotazioni contenute nel foglio di servizio di quella sera. Il magistrato avrebbe disposto una perizia calligrafica i cui risultati sarebbero attesi entro settembre. Per il colpo al caveau del palazzo di giustizia sono state condannate 7 persone. Altre 5, di cui 4 carabinieri, hanno patteggiato, ma si è ancora alla ricerca dei mandanti del colpo più inquietante, rischioso e misterioso della recente cronaca italiana. Il furto avvenne nella notte tra il 16 e il 17 luglio del '99. Quando entrarono nel caveau, dopo un anno e mezzo di sopralluoghi in uno dei santuari più blindati della capitale, i ladri avevano una lista delle cassette di sicurezza da forzare: 197 su 997, quasi 1 su 5. Quelle dei magistrati erano evidenziate con un pennarello. Cercavano soldi, gioielli, ma soprattutto documenti. Su quel colpo, la procura di Perugia ha ricostruito un complesso mosaico criminale in cui spiccano, con gli scassinatori e i carabinieri corrotti, esponenti della banda della Magliana, con legami da Cosa Nostra a pezzi delle istituzioni, l’ex terrorista nero Massimo Carminati, un cassiere di banca, un impiegato del ministero di giustizia, un avvocato massone e un collaboratore del Sisde. Massoneria e servizi segreti, come nei più intricati gialli italiani.
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