Un’organizzazione ben strutturata, con decine di affiliati appertenenti a 2 distinti gruppi etnici: bengalesi e nord-africani. L’obiettivo? Favorire l’afflusso in Italia di centinaia di immigrati clandestini tramite richieste di lavoro fittizie. 30 le ordinanze di custodia cautelare in carcere, delle quali 23 eseguite. In manette cittadini tunisini, egiziani e – soprattutto - del Bangladesh. Ma non mancano gli italiani perché – secondo gli inquirenti – erano alcuni imprenditori della zona a ricoprire un ruolo fondamentale nella struttura. Due romagnoli e un marchigiano presentavano le richieste di impiego – fasulle ovviamente – indispensabili per l’ottenimento dei visti di lavoro. Ma non solo. Era anche stata messa in piedi – nel pesarese - una scuola di cucina per extracomunitari: le pratiche per l’ottenimento del nulla osta per motivi di studio, infatti, sono molto più snelle. I corsi, com’era prevedibile, non sono mai iniziati. I carabinieri di Rimini – nell’inchiesta diretta dal PM Paola Bonetti – avrebbero accertato l’ingresso in Italia di 1478 extracomunitari, nell’arco di 22 mesi. Gente disperata – bengalesi soprattutto – che per raggiungere l’Europa pagavano dai 5 ai 15.000 euro. Quasi tutti erano consapevoli di non avere un lavoro una volta arrivati nel Belpaese. Tra gli esponenti di spicco dell’organizzazione anche un egiziano, titolare di un pub nel riminese. Nel suo locale – affermano gli inquirenti – lavoravano, in condizioni durissime, e senza alcuno stipendio, 12 extracomunitari: schiavi praticamente. Contestato, ad alcuni indagati, anche il reato di spaccio di stupefacenti.
Gianmarco Morosini
Gianmarco Morosini
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