Abusi sessuali tra le mura domestiche, ma anche atti di violenza spesso quotidiani su minori; ragazzi, addirittura bambini. Due gli episodi emersi in questi giorni per un fenomeno però ancora oscuro, oscuro nei numeri e nel livello di diffusione proprio perché relegato all’abito familiare. “I casi di violenza familiare non sono legati alla attualità – spiega Maria Luisa Zavoli, dirigente del Servizio Minori – sono, purtroppo, sempre esistiti e non sono in crescita nei numeri. Quello che è cambiato oggi è il grado di emersione: se ne parla in maniera più libera, c’è una maggiore sensibilità, più coraggio nel chiedere aiuto e le istituzioni sono ora più pronte a cogliere i segnali di disagio, dando spazio all’ascolto e risposta ai bisogni”. Un campo delicato quello degli abusi sui minori: spesso al servizio minori arrivano semplici segnalazioni, mosse dalla stessa famiglia o dalla scuola, più di rado vere e proprie denunce, ma sempre – spiega la Zavoli – le situazioni vanno approfondite, studiate e i segnali letti attentamente insieme agli altri soggetti istituzionali coinvolti: la stessa scuola, l’autorità giudiziaria, le forze dell’ordine”.
Una analisi che chiama in causa anche il contesto sociale quella dello psicologo dell’età evolutiva, Riccardo Venturini: “Da un lato c’è il discorso individuale della persona in crisi e che perde il controllo scaricandosi sul più debole, ma c’è poi anche il discorso collettivo: in una società dell’eccesso, in cui tutto sembra possibile, viene a mancare il rispetto dell’altro, persino quando l’altro è il figlio”. Cosa fare? “Da una lato – chiede Venturini - è essenziale che la società faccia un passo indietro, occupandosi, sì, del fenomeno, ma con un coinvolgimento equilibrato, perché si corre il rischio trasformare il dramma in una notizia da consumare”.
Per chi invece si accosta al minore che ha subìto violenza è necessario rispettarne l’identità e la sofferenza e “lasciarlo elaborare il dramma attraverso le proprie modalità comunicative… Dal disegnare, allo stare in silenzio”.
Una analisi che chiama in causa anche il contesto sociale quella dello psicologo dell’età evolutiva, Riccardo Venturini: “Da un lato c’è il discorso individuale della persona in crisi e che perde il controllo scaricandosi sul più debole, ma c’è poi anche il discorso collettivo: in una società dell’eccesso, in cui tutto sembra possibile, viene a mancare il rispetto dell’altro, persino quando l’altro è il figlio”. Cosa fare? “Da una lato – chiede Venturini - è essenziale che la società faccia un passo indietro, occupandosi, sì, del fenomeno, ma con un coinvolgimento equilibrato, perché si corre il rischio trasformare il dramma in una notizia da consumare”.
Per chi invece si accosta al minore che ha subìto violenza è necessario rispettarne l’identità e la sofferenza e “lasciarlo elaborare il dramma attraverso le proprie modalità comunicative… Dal disegnare, allo stare in silenzio”.
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