“Alessandro mi dava sicurezza, non avevo mai paura con lui. Dopo il salto, l'auto ha cominciato ha sbandare e siamo finiti contro quell'angolo vivo, in cemento armato. Se ci fosse stata una protezione si sarebbe potuto salvare”. Parole pronunciate con il groppo in gola da Alberto Ronci: navigatore sulla A112 condotta da Alessandro Pepe, quel 18 giugno dello scorso anno. In Aula la commozione dei famigliari del pilota. E' stato il momento più intenso, oggi, nel processo che vede alla sbarra – con l'accusa di omicidio colposo – Mauro Zambelli e Sergio Toccaceli: rispettivamente Direttore di gara e Presidente della Scuderia San Marino. Sentiti dal Commissario della Legge – tra gli altri -, piloti, spettatori ed addetti dell'organizzazione di quella prova speciale del Rally Rose'n Bowl. Il muretto contro il quale si schiantò l'auto di Pepe – è stato ricordato - è in un tratto rettilineo, sul quale si arriva “volando” da un dosso, preceduto da una curva. Il perito d'ufficio ha parlato di “situazione border line”; “quel punto – ha sottolineato – è critico; le auto saltano e l'assetto può essere sbilanciato”. L'ingegnere non ha escluso un errore del pilota al momento dell'”atterraggio”; “ma non vi sono prove evidenti - ha aggiunto - di malfunzionamento dell'ammortizzatore”. Punto importante, questo, sul quale hanno opinioni differenti un testimone e i consulenti tecnici della Difesa. Tra questi Michi Biasion: campione dei Rally, presente oggi all'udienza. Altro tema dibattuto è l'assenza, in prossimità del muretto, di una rotoballa, per attutire l'urto. Prevista invece nei piani di sicurezza delle edizioni 2015 e 2016 del Legend – ha sottolineato un esponente della Polizia Civile -; nel 2017 il numero salì addirittura a 4. Il Presidente della FAMS ha ricordato tuttavia come questi elementi di protezione potessero essere connessi a contest di salto previsti – nel tratto in questione – nell'ambito del Rally Legend. Il processo è stato aggiornato al 3 aprile. Prima dell'udienza il Giudice Battaglino ha dato lettura di alcune sentenze d'appello. Ridotti di 30 giorni, i 7 mesi di prigionia per truffa – pena sospesa - inflitti in precedenza ad Edda Di Pietro: la donna che si sarebbe finta magistrato, facendosi consegnare del denaro. E poi il caso del napoletano Francesco Russo, condannato in primo grado per l'emissione di false fatture per oltre 800.000 euro. Il Magistrato d'Appello lo ha assolto, per non aver commesso il fatto, in relazione a fatture emesse nel 2012 e 2013; prescritti gli altri reati. Confermata, invece, la sentenza di condanna ad un anno nei confronti del monzese Walter Marinelli: accusato anch'egli di emissione di false fatture, con l'obiettivo di accedere al regime forfettario.
Riproduzione riservata ©