Una battaglia: non può essere definito altrimenti ciò che è avvenuto ieri a Gerusalemme, e in alcuni territori della Cisgiordania. Una escalation di violenza culminata in serata ad Halamish, nei pressi di Ramallah. Un attentatore palestinese ha fatto irruzione nell'abitazione di una famiglia di coloni, uccidendo a coltellate due uomini e una donna, prima di essere eliminato a colpi di pistola. Ad innescare questa nuova spirale d'odio, dopo un periodo di calma relativa, l'attacco dello scorso 14 luglio alla Spianata delle Moschee. 3 assalitori arabo-israeliani – armati di mitragliette artigianali – avevano ucciso 2 poliziotti drusi, di guardia ai varchi. Inizialmente la Spianata era stata chiusa, per motivi di sicurezza; per poi essere riaperta – ieri, in occasione del Venerdì di preghiera dei musulmani – con metal detector agli ingressi e accesso limitato esclusivamente agli uomini maggiori di 50 anni e alle donne. Misure aspramente criticate dalle Autorità palestinesi, che avevano invitato i fedeli a recarsi ugualmente nella città vecchia di Gerusalemme e pregare – per protesta – nelle zone attigue alla Spianata. La situazione è definitivamente degenerata quando le forze di polizia dello Stato Ebraico hanno iniziato a disperdere con la forza i palestinesi. Ai lanci di pietre gli agenti hanno risposto con granate stordenti e proiettili di gomma. Ma in alcuni casi sarebbero state utilizzate anche munizioni letali, perché – nel corso degli scontri – 3 giovani palestinesi sono rimasti uccisi. Quasi 400 i feriti. Il Presidente Abu Mazen ha annunciato di aver congelato tutti i rapporti con Israele. La crisi, a questo punto, rischia di diventare regionale e seppellire tutti i tentativi di rilanciare le trattative.
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