Come prevedibile la tassa sulle banche – di cui si parlava alla vigilia – non è passata. Si è solo raggiunto un accordo – di principio, si badi bene – affinchè il sistema finanziario contribuisca a pagare i costi dei salvataggi con un contributo definito “equo e sostanziale”. Una formula volutamente generica, senza obblighi precisi. E’ invece abbastanza chiara la ricetta per far fronte all’ennesimo scivolone dei mercati, innescato prima dalla crisi greca, poi da quella ungherese: ovvero una robusta stretta sui bilanci pubblici, da tradursi, a seconda dei casi, in tagli al welfare o nel congelamento degli stipendi statali. Nel comunicato finale del vertice si sottolinea così “l’importanza di finanze pubbliche sostenibili e la necessità, per i vari Paesi, di mettere in campo misure credibili e non ostili alla crescita”. Non mancano, comunque, spiragli di luce. Secondo il commissario UE agli affari economici, e il direttore dell’FMI, sarebbe esagerato parlare di rischio default per l’Ungheria. I ministri delle Finanze, e i governatori dei 20 grandi hanno poi constatato che la ripresa procede a una velocità maggiore del previsto, seppur differenziata a seconda delle diverse regioni. Gli Stati Uniti, infine, hanno chiesto al Giappone, e ad alcuni Paesi europei come la Germania, di stimolare la domanda interna e di non puntare unicamente all’export verso la Cina e gli altri Stati asiatici in crescita.
Gianmarco Morosini
Gianmarco Morosini
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