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A 50 anni dalla bomba di Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi

di Filippo Mariotti
12 dic 2019

50 anni fa la bomba che cambiò la storia d'Italia. Erano le 16.37 del 12 dicembre 1969 - anno di grandi tensioni in tutto il Paese - quando un boato congelò le frenetiche attività di Milano. Un ordigno con sette chili di tritolo esplose in mezzo alla sala principale della Banca dell’Agricoltura di piazza Fontana. 17 vittime, 88 i feriti. Poco dopo un’altra bomba esplose in un sottopassaggio della Banca del Lavoro a Roma, ferendo 14 persone. Fin da subito i commenti sulla strage di Piazza Fontana si divisero in base allo schieramento politico. La sinistra, in particolare quella extraparlamentare, vide nell’attacco un’azione degli estremisti neofascisti, forse in combutta con settori deviati delle istituzioni che con le bombe puntavano a spaventare gli elettori e spingerli a votare i partiti di centro e destra che promettevano sicurezza. Ma le indagini si orientarono fin da subito verso la pista anarchica. La sera stessa dell’attacco circa 150 persone furono interrogate. Tra loro c’era anche Giuseppe Pinelli, un ferroviere di 41 anni, ex partigiano. Fu trattenuto in questura e sottoposto a un duro interrogatorio per tre giorni, più delle 48 ore in cui la legge permette di prolungare un fermo senza l’autorizzazione di un magistrato. Il terzo giorno Pinelli morì dopo essere precipitato dalla finestra al quarto piano dell’edificio. Difficilmente si poté sostenere l'ipotesi del suicidio, come invece dichiarato anche dal commissario Calabresi, poi ucciso da Lotta Continua. Solo due anni dopo, e per pur caso, furono trovati esplosivi dello stesso tipo usati per le bombe del 12 dicembre, nascosti in una casa di campagna da Giovanni Ventura, membro del gruppo neofascista “Ordine Nuovo”, poi arrestato assieme a Franco Freda. I due disponevano – si scoprì – anche di documenti interni e segreti del SID, uno dei servizi segreti italiani del tempo. Le indagini dimostrano anche che il SID ostacolò le indagini, per esempio aiutando a fuggire dall’Italia due testimoni importanti. Seguì un processo infinito che rimbalzò fra diversi tribunali e che coinvolse anche servizi e politici. In un famoso interrogatorio sulla vicenda, Andreotti rispose per 33 volte “non ricordo” alle domande dei magistrati. Di fatto, però, nessuno pagò per quella bomba.


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